I lettori ci scrivono

Tanti posti di lavoro e poche competenze tecniche

Secondo un’azienda di Reggio Emilia, specialista nel progettare le migliori soluzioni di handling e logistica in tutto il Nord Italia gli imprenditori manifestano una chiara difficoltà a reperire personale altamente qualificato, trovando quasi sempre figure caratterizzate da bassi livelli di competenze e specializzazione.

Le difficoltà di reperimento sarebbero a causa dell’impreparazione dei candidati, per via dello scollamento strutturale tra la scuola e il mondo del lavoro o per la mancanza degli stessi. La situazione di skill shortage in cui le aziende si trovano comporta da un lato giovani che peccano per una formazione superficiale e per mancanza di orientamento, di cui avrebbero bisogno, e aziende che accumulano posti di lavoro permanentemente scoperti per mancanza delle persone adatte, idonee, capaci di ricoprirli. 

Il limite più forte che impedisce alle aziende di trovare personale qualificato è nel 60-70% dei casi la formazione insufficiente e le carenze nella preparazione scolastica-universitaria dei candidati. La strategia per risolvere il problema sarebbe quella di indirizzare i disoccupati o i giovani al primo ingresso nel mercato del lavoro mirando agli sbocchi occupazionali effettivamente esistenti. Quindi proporre corsi pertinenti che non si discostino dalla realtà e che rispecchino il mercato del lavoro e la sua domanda.

Proporre dunque progetti formativi che comprendono moduli teorici e pratici e mirano a sviluppare una figura ex novo, senza barriere all’ingresso. Sul sito web di un’azienda, che si occupa della selezione di personale qualificato per le varie aziende richiedenti, si propone un quadro di ben 200 attività lavorative oggi tra le più richieste, differenziate per aree di specializzazione.

In effetti, numerose sono le attività che potrebbero assorbire un gran numero di disoccupati. Figure come cablatore quadri elettrici, fresatore, meccatronico, programmatore PLC, HSE specialist, disegnatore meccanico, e molte altre richiedono competenze e abilità specifiche che bisogna imparare bene. Eppure, nonostante siano figure professionali spesso ben pagate non si trovano.

Bisogna chiedersi perché. Una formazione professionale completa, come è ovvio, deve essere il risultato finale di una azione congiunta tra scuola e università da un lato e l’azienda dall’altro.

Ad esempio, non si può pretendere che uno studente appena diplomato o laureato, per quanto preparato possa essere già di suo, sia in grado di svolgere professionalmente un lavoro che non ha mai fatto. È per questo che le aziende fanno fare, o dovrebbero, dei corsi di formazione.

Ma allora perché non si trova personale idoneo? Evidentemente le carenze nella preparazione scolastica-universitaria sono troppo estese da non permettere l’adattamento richiesto dalle aziende. Mancano delle vere teste pensanti. Forse l’appiattimento degli interessi e dell’impegno che osserviamo nelle nostre classi ne è una delle cause.

Lunga è, a sua volta, la serie di cause che ha determinato questo appiattimento e che in questa sede non possiamo analizzare nel loro insieme. L’evoluzione dei modelli socioculturali ha certamente modificato, se non addirittura resettato, gli stili di vita di tutti noi italiani. Nuovi modelli comportamentali hanno cambiato anche il concetto di studio e lavoro.

Le nuove generazioni sono molto attratte dai cosiddetti lavori facili che è possibile svolgere da casa seduti davanti ad un computer e che creano l’illusione di facili e allettanti guadagni. In tal modo lo studio e l’impegno hanno perso di credibilità agli occhi delle nuove generazioni perché non in grado di dare immediate risposte economiche. Ma si tratta, ahimè, soltanto di un miraggio che cela probabilmente qualche amara delusione. I formatori di tutta la filiera dovrebbero stare molto attenti e cercare di evitare che questi eventi socioculturali sfaldino il nostro sistema formativo.

Dovrebbero imparare a vendere cara la vera formazione riempiendo di più di cose utili quel pacco regalo che è il diploma o la laurea, mettendo da parte sconti e regali prefestivi. Finché il titolo di diploma o quello di laurea manterrà la propria validità per l’accesso ai concorsi e al mondo del lavoro c’è sempre la speranza di riorientare l’impegno dei nostri ragazzi verso l’acquisizione di reali competenze capaci di essere reinvestite in differenti contesti lavorativi.

Se non ci sarà più corrispondenza tra titolo d’accesso e competenze possedute il quadro evolutivo economico ed occupazionale sarà sempre più incerto e poco prevedibile.

Giuseppe D’Angelo

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