«Durante l’anno di prova – scrive il giovane professore – ti viene ripetuto spesso quello che da anni Franco Lorenzoni o Giacomo Stella scrivono nei loro libri: se non sei un adulto in ricerca, la scuola non è il posto che fa per te. Alla scuola non servono detentori di chissà quale sapere, ma «facilitatori», intermediari fra gli studenti e le competenze che dovranno acquisire: in classe porrai delle questioni e assisterai gli studenti nel loro dipanarle».
LA TECNICA DELLA SCUOLA E’ SOGGETTO ACCREDITATO DAL MIUR PER LA FORMAZIONE DEL PERSONALE DELLA SCUOLA E ORGANIZZA CORSI IN CUI È POSSIBILE SPENDERE IL BONUS.
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«Questa cosa ti esalta – racconta Fillioley – hai la sensazione di essere stato assunto al Cnr e quando entri in aula vorresti tanto indossare un camice bianco: guiderai questo gruppo di giovani menti, ti dici, e lo farai tramite una didattica collaborativa, di gruppo, tra pari, abbandonando ciò che credevi di sapere e finendo con lo scoprire che il primo apprendimento è proprio il tuo. Bene, bello. Però a un certo punto ti devi per forza chiedere: ma sono un adulto in ricerca io? Be’, sì, mi sono risposto, è una vita che non ci capisco niente, quindi direi che sono abbastanza in ricerca, e in effetti, come credo accada da sempre a molti disadattati, dentro l’aula mi sento piuttosto a mio agio. Così la tesi del Miur mi è sembrata ragionevole da subito: del resto bastano due ore per rendersi conto che qualunque restaurazione è utopica, che l’insegnante autoritario, dispensatore di lezioni frontali, è improponibile, nessuno può più pensare di farlo, indietro non si torna, e gli studenti di oggi ignorano perfino la possibilità che l’insegnante sia qualcuno da stare a sentire, perché questa presunta autorevolezza è scomparsa dovunque, a cominciare dalla famiglia, guidata più da fratelli maggiori che da genitori veri e propri, e quindi non si capisce per quale motivo dovrebbe sopravvivere a scuola».
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