Categorie: Politica scolastica

Unicobas: “La competizione elettorale è una mezza truffa”

Domanda
Nella competizione elettorale per il rinnovo delle RSU i sindacati di base partono con un handicap iniziale. Perché?


Stefano d’Errico
La storia è lunga e bisogna tornare indietro di una ventina d’anni.
Sino al ’97 le norme richiedevano alle organizzazioni sindacali il raggiungimento della soglia del 5% dei voti validi nelle elezioni di categoria (Consigli di Amministrazione dei Ministeri e Consigli della Pubblica Istruzione, nazionale e provinciali, per la Scuola). Nel periodo intercorrente fra un’elezione e l’altra il calcolo veniva, con un tetto analogo, operato sui sindacalizzati. Il raggiungimento del 5% su lista nazionale significava per le organizzazioni di comparto poter sedere al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto di categoria e per le contrattazioni decentrate di primo livello; una soglia analoga su lista provinciale garantiva la partecipazione alle trattative decentrate locali o di singola “unità produtiva”.

Domanda
E poi cosa è successo?

Stefano d’Errico
La legge “Bassanini” del Novembre ’97 (votata anche dai Verdi e da Rifondazione Comunista), ha stravolto ogni regola. Innanzitutto, con un meccanismo elettorale farsesco che impedisce la presentazione di liste nazionali, imponendo unicamente liste decentrate e delegando alle OOSS concertative la scelta del rito elettorale. Così, ad esempio, nella Scuola (10.000 sedi centrali), CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda impongono la presentazione di una lista per istituto, e meno liste si presentano, meno voti si possono raccogliere. Vengono perciò elette “Rappresentanze Sindacali Unitarie” unicamente nei luoghi di lavoro, titolate a trattare solo su questioni minimali, sulla falsa riga di contratti nazionali e provinciali decisi dai rappresentanti nominati dalle burocrazie sindacali senza alcun controllo elettivo.

Domanda
I sindacati rappresentativi sostengono che se un sindacato di base non ha una presenza diffusa sul territorio nazionale non può pretendere di essere considerato alla pari di un sindacato presente dappertutto


Stefano d’Errico
La verità è questa: il meccanismo attuale della cosiddetta “media” per calcolare la rappresentatività è assolutamente indecente. Il 5% non viene infatti calcolato più sui voti o sugli iscritti, ma facendo media fra i due parametri. In tal modo la soglia sul dato elettorale sale automaticamente, dovendo i sindacati nuovi compensare la ovvia carenza di iscritti a fronte di quanti esistono da almeno quarant’anni.
La conseguenza di questo meccanismo è che CGIL, CISL e UIL, che in decenni si sono garantite comunque il 10% dei sindacalizzati, resterebbero “rappresentative” anche qualora non raccogliessero voti!
Se si fosse adottato qualcosa di simile per accedere al Parlamento si sarebbe gridato al colpo di stato, anche perché così non si consentirebbe di fatto la nascita di alcun nuovo partito.
Una norma del genere, traslata in politica, avrebbe come effetto per i partiti che non possedessero da Canicattì a Bolzano un quorum nazionale calcolato sul 5% di media fra voti ed iscritti (sic!), non solo l’esclusione dal Parlamento, ma anche da ogni consiglio regionale, provinciale, comunale o municipale e, di concerto, da ogni permesso per fare propaganda, manifestare, tenere comizi ed ottenere qualsivoglia rimborso elettorale, visto che in campo sindacale viene negato qualsiasi diritto, anche quello d’affissione. Altro che par condicio !!!

Domanda
L’Unicobas e gli altri sindacati di base si sentono discriminati per più ragioni; da tempo, per esempio, protestate per le difficoltà che si frappongono anche alla convocazione della assemblee


Stefano d’Errico
Certo: alle OOSS “non rappresentative” è interdetta anche la convocazione di assemblee in orario di servizio, di modo che non possano farsi campagna elettorale né trovare i candidati ed i sottoscrittori necessari a presentare le liste. La cosa è persino ridicola, visto che la somma delle firme richieste per validare le liste raggiunge numeri strabilianti (nella scuola occorrono 65.000 presentatori, più dei voti richiesti per raggiungere il 9.5% e più di quanto sia necessario per proporre al Parlamento una legge di iniziativa popolare). Si tratta di numeri congrui per le singole unità amministrative (2% degli aventi diritto), ma assolutamente improponibili nell’ottica di una sommatoria nazionale. Sarebbe come se – nelle elezioni politiche – i partiti fossero obbligati a presentare una lista per ogni seggio elettorale, dovendo così raccogliere almeno 600.000 firme per coprire tutto il territorio nazionale. 

Reginaldo Palermo

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