Il questionario ha coinvolto oltre 6mila studenti delle scuole superiori in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Campania e Sicilia.
Si è trattato di una ricerca-azione, poiché, dopo l’indagine, gli studenti hanno potuto scoprire e discutere tutti gli aspetti legati Hiv e Aids in una apposita lezione.
In pratica, riportano le agenzie come Dire.it, gli adolescenti italiani su Hiv e Aids, virus, malattia e prevenzione avrebbero poche e confuse conoscenze.
Ma non solo. Rispetto a metodi alternativi al profilattico per prevenire il contagio il 38,9% ha risposto “non so”, mentre il 36,5%, tra cui soprattutto ragazze, ritiene pillola e spirale metodi efficaci per scongiurare il pericolo.
Su concetti chiave come “periodo finestra”, che intercorre tra il contagio e il momento in cui è possibile diagnosticarlo attraverso il test, e “periodo di incubazione” gli adolescenti mostrano le incertezze più gravi: i “non so” sono una larga maggioranza.
Il 20% dei ragazzi crede che il test dell’HIV serva a sapere quando si è geneticamente predisposti all’Aids, mentre il 16,8% ritiene che una persona sieropositiva non corra il rischio di infettare amici o conoscenti “se è attenta a evitare baci o contatti troppo stretti” e questo, sottolinea l’associazione dei pazienti Nps, indica che esistono ancora pregiudizi rispetto alle persone sieropositive.
“In materia di rischi nella convivenza con chi è sieropositivo all’Hiv- scrivono i ricercatori nel loro report- la mancanza di informazione regna sovrana: quasi nel 95% dei casi i ragazzi hanno risposto in modo inesatto o hanno dichiarato di non sapere nulla”.
Le percentuali e le risposte sono parte dei risultati presentati a Venezia da Alessandro Battistella, ricercatore e autore dello studio: “Cosa ne sai?”, realizzato dal laboratorio di Ricerca sociale del dipartimento di Filosofia e Beni culturali dell’università Ca’ Foscari.
Il progetto “Cosa ne sai” persegue i seguenti obiettivi:
individuare il grado di conoscenza dell’HIV/AIDS tra la popolazione generale;
approfondire le conoscenze dell’HIV/AIDS nella fascia d’età 14/18 anni attraverso un metodo d’intervento riconducibile alla “ricerca-azione”, finalizzato non solo a comprendere in che misura il livello di conoscenza incida sui comportamenti concreti dei giovani ma anche a migliorare contestualmente il livello di consapevolezza dei ragazzi contattati;
approfondire e migliorare il grado di conoscenza e consapevolezza nella popolazione LGBT;
indagare e migliorare il grado di conoscenza e consapevolezza nella popolazione immigrata;
costruire un’ampia rete tra associazioni e università in grado di sviluppare nuove conoscenze e competenze negli interventi di prevenzione dell’HIV/AIDS.
Ed è lo stesso Alessandro Battistella a dire: “Abbiamo riscontrato una grandissima attenzione da parte degli studenti i quali ritengono la scuola il canale di informazione preferito su Aids e malattie sessualmente trasmissibili, anche se nella quotidianità è Internet il principale strumento di informazione”.
Secondo i dati ministeriali, le nuove diagnosi di infezione da Hiv sono circa 4mila l’anno, diminuisce la proporzione di tossicodipendenti ma aumentano i casi attribuibili a trasmissione sessuale.
L’informazione e la consapevolezza degli adolescenti è dunque cruciale per tendere all’obiettivo di ridurre drasticamente i nuovi casi.
La scelta delle sei regioni: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Campania e Sicilia per eseguire l’indagine è stata effettuata seguendo tre criteri: la rilevanza epidemiologica della malattia, le differenze nell’organizzazione sociosanitaria e la rappresentatività del territorio nazionale.
Guardando ai risultati, si notano differenze tra regione e regione.
Ad esempio, nelle fonti di informazione: in Veneto e Toscana dopo la scuola (27-28%) è il medico di famiglia a informare di più; in Sicilia e Campania è la scuola (37-35%) e poi la televisione (20-19%).
Il Veneto (17%) presenta valori due volte e mezza superiori alla Sicilia (7%) nella propensione all’astinenza sessuale come metodo di prevenzione alternativo al profilattico.
L’indagine ha riguardato anche 952 persone rappresentanti della popolazione generale italiana.
Il 6,4% ha risposto che una persona sieropositiva “si riconosce perché magra e sciupata”, mentre in realtà non è affatto riconoscibile (60% le risposte corrette).
Significativa la scarsa conoscenza sul “periodo finestra” tra contagio e test e sul periodo di incubazione della malattia. I ricercatori hanno incontrato 215 persone immigrate, provenienti da 53 paesi del mondo, con i quali hanno realizzato questionari e focus group.
L’indagine ha riscontrato lacune e dubbi significativi. Il 28% crede l’Aids sia una malattia ereditaria, la maggior parte ha dubbi sui veicoli dell’infezione.
Infine, un questionario di 30 domande è stato costruito con la collaborazione di rappresentanti della comunità Lgbt e sottoposto 165 persone ad essa appartenenti. Solo il 31% degli Lgbt hanno risposto correttamente che gli omosessuali maschi, senza precauzioni, sono più a rischio di contrarre il virus Hiv.
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