“L’istruzione, in particolare, è un investimento redditizio in Italia, anche se meno che negli altri paesi avanzati: le persone più istruite hanno minori difficoltà a trovare un lavoro, hanno carriere meno frammentate e guadagnano salari più elevati”.
Lo ha affermato il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, intervenendo al convegno per i 40 anni della società di consulenza Prometeia.
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Ha poi aggiunto: “sono bassi il livello di scolarizzazione e la quota dei laureati. Quali sono le ragioni dell’apparente incongruenza tra rendimenti e scelte di istruzione? In parte il paradosso è riconducibile alle strategie delle imprese, la cui domanda di lavoro qualificato è frenata dalla specializzazione in settori tradizionali e ad alta intensità di lavoro, dalla ridotta dimensione aziendale, nonché dal contesto istituzionale e regolamentare”.
Secondo Visco “lo scarso rendimento dell’istruzione può anche segnalare, però, una perversa interazione tra la domanda e l’offerta di capitale umano che ne amplifica le rispettive carenze. Da un lato, a un’istruzione di bassa qualità le imprese potrebbero aver reagito, in condizioni di informazione imperfetta, con un’offerta generalizzata di bassi salari; a loro volta questi non sarebbero sufficienti a giustificare un più elevato investimento in istruzione. Dall’altro lato, la presenza di significative difficoltà nel trovare competenze adeguate nel mercato del lavoro potrebbe aver spinto le imprese non a innalzare i salari, bensì a ridurre la propensione a investire in nuove tecnologie, contenendo di conseguenza il fabbisogno di manodopera qualificata. L’innescarsi di questo circolo vizioso deprimerebbe ulteriormente l’incentivo all’investimento in capitale umano, spingendo inoltre i lavoratori altamente qualificati a cercare altrove migliori opportunità lavorative. Uno studio condotto in Banca d’Italia attribuisce quasi metà del divario nella quota di laureati tra Italia e Germania a questo tipo di interazioni”. “Il ricorso alle tecnologie digitali è fortemente influenzato dalle competenze dei lavoratori. L’adozione di nuove tecnologie richiede infatti di adattarsi a cambiamenti organizzativi anche complessi e favorisce la produzione stessa di innovazione. La quota di lavoratori che utilizza il computer in Italia è la più bassa tra i paesi dell’Ocse (il 50 per cento contro una media del 70)”
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