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3.500 profughi ucraini in classe in Italia

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Con tre diverse note del ministero vengono date le indicazioni con cui accogliere i ragazzi ucraini in fuga dal loro paese a causa della guerra, nel segno della solidarietà e dell’inclusione scolastica che sono i due pilastri fondativi dell’agire del Governo.

Ad oggi sarebbero entrati nelle scuole italiane circa 3.500 studenti dei quali 3 su 4 (circa il 75%) nelle scuole di sei regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Campania. La classe d’età prevalente è quella dell’infanzia e primaria (circa il 65%).

Vengono accolti adottando, come stile, la “pedagogia della scala”, ovvero interventi di socializzazione, linguistici, culturali, stili di accoglienza, “patti di comunità” con il territorio, raccordi istituzionali. “Non ultimi, rapporti con la comunità degli ucraini già residenti in Italia: circa 250mila prima del conflitto. Ognuno di questi interventi costituisce un gradino della scala da costruire per la risalita alla luce di ciascun studente esule”.

Nel corso di una intervista a Stefano Versari, Capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell’Istruzione, Vita.it fa il punto dell’accoglienza dei bambini profughi ucraini in Italia.

Il fenomeno migratorio, precisa l’esperto, è caratterizzato da tre elementi: “la brutalità e violenza a fondamento della fuga; l’immediatezza temporale (circa 3 milioni di profughi in una ventina di giorni); la temporaneità dell’esodo (almeno in termini di speranza personale). Sono condizioni particolari che chiedono specifici interventi didattici e pedagogici”. 

“Relativamente alla attività, anche il tempo che abbiamo davanti a noi si può ripartire in tre fasi. La prima è quella del “tempo lento per l’accoglienza”, fino alla conclusione di questo anno scolastico. Un tempo per comporre gruppi di socializzazione, acquisire prime competenze comunicative in italiano, iniziare ad affrontare i traumi. Una seconda fase di “consolidamento e rafforzamento” dei medesimi elementianche mediante patti di comunità, potrà essere svolta nel periodo estivo. Infine, una terza fase più strutturata di “integrazione scolastica” potrà essere iniziata con l’anno scolastico 2022/23. Per questa ultima fase però sono in gran parte ignote le condizioni in cui ci si muoverà”.

“Per l’attuale prima fase pare sensato adottare la “pedagogia del ritorno”, considerato che il tempo di permanenza nel nostro Paese non sarà breve. È bene in qualche modo siano mantenute la lingua, la cultura, la scolarità ucraine, per quanto possibile con il supporto delle comunità di appartenenza presenti nel nostro Paese. Occorre poi evitare “scivoloni” educativi: gli esuli devono essere accolti a braccia aperte, ma va rispettato il loro lutto per tutto quanto hanno perduto. Perciò la sobrietà credo debba essere la regola da adottare nell’accoglienza”.

“E poi la “pedagogia della scala” che implica l’esigenza di molteplici gradini, con funzioni diversificate per l’accoglienza di questi nostri nuovi studenti. I patti di comunità costituiscono i gradini che il “villaggio”, la comunità, si rende disponibile a realizzare per la migliore accoglienza anche scolastica degli esuli. Sono il contributo che gli enti locali, il privato sociale, le famiglie, le comunità ucraine decidono di offrire alla scuola, per la migliore realizzazione del suo compito”.

“Insieme ai traumi vissuti, la barriera linguistica è il primo ostacolo all’azione educativa della scuola e i mediatori linguistici non sono però in misura pari alle esigenze. Con la collaborazione delle comunità ucraine e dei docenti esuli si confida comunque di potere fare fronte alle molteplici esigenze linguistiche di tipo almeno comunicativo. 

“Purtroppo- precisa ancora l’esperto a proposito dei ragazzi con disabilità -le modalità della fuga fanno ipotizzare siano pochi i minori disabili che potranno uscire dall’Ucraina. Quelli che riusciranno ad arrivare, come sempre, saranno comunque accolti con modalità adeguate alla propria condizione. I documenti, le certificazioni favoriscono la conoscenza delle situazioni, ma non vengono poste a condizione dell’accoglienza. La scuola, come l’ospedale, in primo luogo accoglie e si prende cura della persona, facendo fronte all’emergenza quotidiana con competenza, dedizione ed etica”.