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Giovani, in Italia oltre 2 milioni non studiano e non lavorano

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Spesso le percentuali non danno l’esatta portate di un fenomeno. Allora, in questi casi, è davvero prezioso proporre all’opinione pubblica i numeri esatti di quello che si sta trattando. Ed è quello che ha fatto un paio di giorni fa, parlando di giovani usciti dal sistema formativi e privi di un occupazione, il direttore generale del Censis, Giuseppe Roma: durante il meeting dei giovani di Confindustria, svolto a Capri, il sociologo ha spiegato che con la crisi economica internazionale degli ultimi anni la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli drammatici.
Un quarto dei giovani tra i 20 e i 30 anni pari a oltre 2 milioni di persone risultano “fuori dai circuiti produttivi e in gran parte sembrano chiamarsi fuori dalla partecipazione attiva nella società“, quindi anche dalla volontà riprendere gli studi e specializzarsi in professioni più appetibili dal mercato del lavoro.
Roma ha anche sottolineato che “senza i giovani, il Paese non può crescere“. Subito dopo, il dg del Censis è tornato a rivolgersi alla platea di specialisti: dicendo loro che l’analisi dell’incidenza dei giovani sui residenti totali in rapporto al Pil pro-capite ha fatto emergere che “nei tra il 1971 e il 1991 il reddito pro-capite è cresciuto del 75,3%, mentre la quota della popolazione giovanile ha raggiunto nel 1991 il suo massimo pari al 31%. E nei successivi diciannove anni, dal 1991 al 2010, il reddito pro-capite è aumentato del 10,6%, mentre la popolazione giovanile è crollata al 22,4%. Negli anni ad alta intensità giovanile, pertanto, l’Italia – ha concluso Roma – è cresciuta al tasso del 3,8% annuo, in quelli di crisi demografica dello 0,6%“. Davvero troppo poco per salvare molti dei nostri giovani da un futuro lavorativo (e di conseguenza da un progetto di vita) davvero difficile ed incerto.