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Università: salgono gli iscritti ma anche le difficoltà

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Con il numero di iscritti all’Università, starebbe crescendo anche il rischio di difficoltà degli studenti. A sostenerlo è la Fondazione Rui, che il 14 dicembre ha presentato a Roma, presso la propria sala Conferenze, la quarta indagine Euro Student. Secondo lo studio, sebbene con il nuovo anno accademico siano aumentate le matricole di circa 100 mila unità, il successo di iscrizioni derivante anche dal primo impatto della riforma rischia di essere di breve durata. L’analisi della Fondazione, infatti, indica che “molti universitari mostrano di studiare con difficoltà e con risultati inferiori alla media, esponendosi al rischio di abbandono”.
Dopo la “crisi” della fine degli anni Novanta, oggi si iscrivono ad un ateneo oltre i tre quarti degli studenti neo-maturati. A fronte di tanti iscritti sorgono però dubbi sulla qualità dello studio: secondo lo studio della Rui complessivamente, il carico di studio-esercitazioni richiesto dai piani di studio è considerato sostenibile solo dal 53,4% degli studenti universitari; una percentuale che si riduce al 25% se si va a verificare chi riesce a mantenere il ritmo previsto dal curriculum di studi. Gli studenti però credono che la laurea sia sinonimo di successo lavorativo: pur denunciano limiti e incongruenze, il 70% pensa di continuare di specializzarsi dopo aver terminato il triennio. Il quadro è di non poca rilevanza se si considera che ad oggi la quota dei laureati in Italia è costituita appena dal 10% della popolazione, a fronte di uno standard internazionale, nei paesi dell’Ocse, che si aggira al 15%.
“L’effetto positivo dell’allargamento della base studentesca – commenta la Fondazione – è la premessa per far crescere, organizzazione che definisce il numero di laureati presenti nella popolazione attiva uno dei principali indicatori delle potenzialità di crescita di un paese”. La Rui indica però anche la strada da percorrere se non si vuole incorrere in un successo di iscrizioni solo momentaneo: con l’introduzione della riforma servirà anche “una maggiore offerta di servizi, realizzando forme di didattica più adatte alle nuove tipologie di studenti, tra cui l’insegnamento a distanza, e potenziando le misure di sostegno per il diritto allo studio (Dsu) che a volte risultano determinanti”. Sarebbe forte, infatti, la crescita della domanda di sostegno per il diritto allo studio e di servizi sempre più mirati sulle esigenze dei vari gruppi di studenti, come i pendolari, i lavoratori e i fuori sede.
Il problema dei costi per mantenere gli studi è evidente, tanto che gli studenti che lavorano sono il 30% del totale: “in proposito – fa sapere la Fondazione – l’indagine mette in evidenza che il 25% degli studenti che usufruiscono di borse di studio ha scelto in quale ateneo iscriversi in relazione alla possibilità di ottenere un aiuto economico”. Oltre la metà degli studenti (50,5%) è rappresentato da pendolari che, sempre per motivi economici, ha scelto università vicine a casa. Il 22% ha invece potuto permettersi di trasferirsi, soprattutto dal Sud al Nord, pur di frequentare lezioni in atenei più prestigiosi.
Tra gli studenti mon c’è soddisfazione soprattutto per il livello di formazione pratica (appena il 40% si è espresso positivamente), mentre il 74,9% apprezza la formazione teorica di base. In media allo studio sono dedicate 39 ore a settimana, 3 ore in più rispetto al 2000 e ben 10 ore rispetto all’ultimo anno. In netto aumento anche il numero di ore settimanali dedicate alle lezioni, passate in un solo anno da 14,3 ore a 21,9.
Desolante il quadro che raffigura lo studente italiano alle prese con la scelta del corso dei laurea: secondo la Fondazione permane un infatti una “forte ‘solitudine’ dichiarata dagli studenti che per oltre due terzi affermano di aver scelto senza confrontarsi con nessuno e anche se hanno ricevuto informazioni e possibilità d’assistenza per l’orientamento o ne hanno parlato con amici e familiari, hanno considerato tali circostanze non determinanti nel percorso che li ha portati alla scelta”. Da buoni italiani, gli studenti dimostrano però una estrema disponibilità ad adattarsi alle condizioni e alle regole degli atenei, adottando vere e proprie “strategie di sopravvivenza, anche se a volte queste non sono sufficienti a garantire la permanenza degli studenti nelle università e in alcuni casi le difficoltà conducono all’abbandono degli studi”.