Home I lettori ci scrivono A quale modello valoriale apparteniamo?

A quale modello valoriale apparteniamo?

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In una novella di Pirandello, si narra di un viaggiatore che, sceso dal treno durante la notte, si ritrova sul marciapiede di una stazione sconosciuta. Ha un attimo di disorientamento, non ricorda da dove viene e verso quale meta sia diretto. Cerca allora indicazioni frugandosi addosso. Dalle tasche estrae un’immagine sacra, la foto di una donna, una banconota. Tre oggetti simbolici dell’universo valoriale umano: l’assoluto, gli affetti, la realizzazione sociale.

Quel viaggiatore è un’efficace metafora della condizione umana. Anche noi, come viandanti confusi, avanziamo verso un futuro sconosciuto, conservando del passato solo immagini nebbiose. L’uomo non è che un esploratore in cerca d’indizi. Gettati nel mondo, come dadi su una carta geografica, in un luogo ed in un tempo non scelti da noi, siamo costretti, per dirla con Pascal, a limitarci ad un’‘esperienza mediana’. Conosciamo solo il segmento di mondo che cade sotto i nostri occhi, ma ignoriamo gli estremi della realtà: se l’universo sia finito o infinito, cosa c’è oltre e che c’era prima di esso, se siano possibili una vita senza fine ed una felicità assoluta… 

Siamo come il prigioniero di Platone nel Mito famoso. Rinchiusi in una caverna, con la faccia rivolta verso una parete, conosciamo solo in parte la realtà dello speco sotterraneo in cui siamo rinchiusi (la dimensione cosmica) e, soprattutto, ignoriamo ciò che c’è fuori di esso (la dimensione soprannaturale).

È evidente che, di fronte alle domande di senso esistenziale, le risposte possibili sono molteplici. Una cosa però è certa. La nostra stessa salute mentale è condizionata da queste risposte, cioè dai valori che danno significato alla nostra vita. È dimostrato, infatti, che l’autostima di un soggetto è rapportata alla percezione significativa che egli ha della sua esperienza, cioè ai valori sottesi al suo progetto di vita.

Noi possiamo ricavare significato esistenziale da infinite cose: dagli affetti o dalle relazioni, dalla fede o dalla solidarietà, dalla professione o dagli impegni, dall’arte, dalla natura, dal collezionismo, dallo sport… Occorre però che tali realtà rappresentino per noi effettivamente dei valori. Ed è “valore” tutto ciò che dà motivazione e consapevolezza alla vita. È anche dimostrato che il benessere interiore aumenta quando facciamo riferimento ad un valore fondamentale, meglio ancora se assoluto, in quanto questo ha il potere di unificare i valori minori ed alimenta la certezza che quanto realizziamo ha un senso, giova agli altri ed è forse destinato a durare per sempre.

Sottoponiamoci ad una sorta di test rivelatore. Prendiamo, ad esempio, un pensiero di Blaise Pascal, filosofo e scienziato del Seicento. Egli scrive: “Vi sono tre ordini di grandezza: – la grandezza dei corpi o delle realtà fisiche; – la grandezza intellettuale o del genio; – la grandezza morale o della bontà”.

Esaminando questa frase, ci rendiamo conto concretamente della differenza che c’è tra sistema valoriale cristiano e pagano. A differenza della cultura greco-romana, o di quella attuale, che mette al vertice la superiorità fisica ed intellettuale, l’ethos cristiano favorisce i valori morali: la disponibilità, la solidarietà, il dono di sé.

Per Pascal, e per i cristiani, una vecchietta analfabeta che sorride con atteggiamento di comprensione, oppure un bambino che coglie nel prato le margherite per la mamma, sono superiori all’intellettuale che comunica, con evidente soddisfazione, concetti sublimi o allo scienziato che fa una nuova scoperta più per la gloria che per il bene degli altri. Torna alla mente una sentenza famosa: “C’inchiniamo di fronte all’ingegno ma c’inginocchiamo dinanzi alla bontà”.

E’ evidente che le tre tipologie di grandezza tendono ad ignorarsi, a vivere di vita autonoma. Così, ad esempio, un uomo di cultura potrebbe considerare con sufficienza il campione olimpionico incolto o l’attrice bella ma frivola. E viceversa. Ma, ciò è sbagliato. Verità, bontà, bellezza, utile, sono sistemi bisognosi d’integrazione reciproca, per il benessere individuale e sociale. Non devono escludersi a vicenda ma completarsi, ponendosi però all’interno di una scala gerarchica, per non cadere nella banalità e nel relativismo, porta del nichilismo e della disperazione.

Inoltre, è necessario che ogni spettro di valori sia il più ampio possibile e, nello stesso tempo, ancorato ad un valore fondamentale, preferibilmente assoluto e trascendente.

Ma siamo veramente convinti che una madre che stringe sorridente il suo bambino, una persona che si mostra solidale con chi è nel bisogno, o che si consuma in un’attività sociale con spirito ideale, incarna valori più profondi e benefici, per il genere umano, di un calciatore che vince un campionato o di un cantante che trionfa in un festival?

Luciano Verdone