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Allarme scarlattina nelle scuole a Roma: nei casi più gravi scatta l’isolamento dei contatti stretti, insegnanti compresi

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Allarme streptococco, il batterio che causa la scarlattina, in alcune scuole romane: a riportarlo è La Repubblica, che fa riferimento anche ad una circolare del ministero della Salute della scorsa settimana e alle parole preoccupanti dei pediatri.

“Siamo sotto pressione – spiega Teresa Rongai, segretaria della Federazione italiana medici pediatrici di Roma e del Lazio – . In città i casi sono aumentati in media del 30%”. Ma con picchi del 50% in alcune settimane. “Le famiglie chiamano a ripetizione – aggiunge la dottoressa – e nei giorni scorsi è capitato che in seguito a un caso in una scuola della Asl Roma 3 le maestre abbiano dato indicazione a tutte le famiglie di procedere con un tampone”.

Quali sintomi?

Per alcune famiglie sembra essere tornato l’incubo Covid, tra tamponi, mascherine, tracciamento dei contatti stretti. A essere colpiti sono per lo più bambini, ma anche ragazzi sotto ai 15 anni e a spaventare i genitori è l’aspecificità dei sintomi, “come mal di gola, faringite e febbre”, spesso ricondotti in maniera superficiale a semplici malanni di stagione.

“Per questo stiamo facendo tamponi a chi si presenta con questi sintomi – aggiunge la segretaria della Federazione italiana medici pediatrici di Roma e del Lazio -. Dopo aver portato per tanto tempo le mascherine, ora abbiamo un debito immunitario e registriamo una ventina di casi a settimana”.

Si tratta di una forma molto violenta, che “può manifestarsi con batteriemia, polmonite, sindrome da shock tossico streptococcico, febbre reumatica, glomerulonefrite post-streptococcica” e problemi ai “tessuti molli e alle ossa” come “cellulite, osteomielite, fascite necrotizzante”. Nei casi più gravi, come riporta la circolare, “si sottopongono a sorveglianza sanitaria i conviventi e i contatti stretti (inclusi compagni di classe ed insegnanti) per 7 giorni dall’ultimo contatto con il caso”.

“Anche le farmacie si stanno attrezzando, facendo nei gazebo anche i tamponi per lo streptococco”, racconta Valeria Sentili, preside dell’istituto comprensivo Morvillo. Solo qui sono 20 finora i casi registrati. Altri 10 quelli noti all’Ic Merope.

Cosa fare in caso di insorgenza di sintomi?

“Se un bambino ha dei sintomi, che sono in genere una faringotonsillite febbrile, cioè avere la tonsillite, le placche, la febbre e magari anche delle macchie sulla cute, allora è giusto fare il tampone su consiglio del pediatra – ha detto Alberto Villani, responsabile del dipartimento Emergenza e accettazione e Pediatria generale dell’ospedale Bambino Gesù, come riporta RomaToday – Se il tampone venisse positivo si somministra un antibiotico”. 

Il tampone, insomma, va eseguito “nel caso ci siano dei sintomi che giustifichino la sua effettuazione. Avere la positività di un tampone in un bambino che non ha sintomi non è invece meritevole di attenzione – ha spiegato ancora Villani – e senz’altro non deve essere praticata nessuna terapia”.

“Se il tampone venisse positivo è giusto fare una terapia antibiotica – ha ribadito il pediatra – Non c’è nessun motivo di fare terapie antibiotiche nei soggetti che siano stati accanto o vicino a dei bambini che erano positivi e che fanno la terapia, perché non c’è una contagiosità di questo tipo, ma soprattutto se non ci sono sintomi. Quindi se un bambino è stato accanto ad un altro bambino, che è risultato positivo e sta facendo la terapia, se non ha sintomi deve stare tranquillo”. In conclusione, il tampone ha una sua indicazione e “quando e se c’è indicazione a farlo venisse positivo, solo allora va praticata la terapia antibiotica”, ha concluso Villani.