I lettori ci scrivono

Caro governo, lettera di due alunni sulla difficile didattica a distanza

Vorrei portare la voce dei miei due figli nel dibattito aperto sulla scuola che verrà. Lo faccio attraverso una lettera che hanno scritto i miei due figli di 8 e 10 anni, che frequentano la terza e la quarta classe di una scuola primaria, nel quartiere di Giambellino-Lorenteggio a Milano.

Mi permetto di allegare alla loro lettera qualche considerazione personale.

Anche se i miei bambini sono ancora bambini, noi parliamo spesso di quello che sta succedendo in Italia e parliamo spesso di democrazia, libertà, pari opportunità. Certo, loro sono fortunati: io sono una mamma con due lauree (una in Fisica e una in Psicologia) e una specializzazione triennale in Counseling relazionale maieutico, sono una psicopedagogista e ho un lavoro altamente professionale e specialistico in ambito assicurativo. Ho 15 anni di esperienza nel campo dell’ICT come IT Architect e non mi spavento di fronte ad un tablet o un pc che vanno riconfigurati o all’ennesimo plug-in necessario per aprire un allegato o un link. Ma ugualmente – e anche in virtù delle mie conoscenze in campo psico-pedagogico nonchè sul funzionamento mentale e neurologico dei bambini e degli adolescenti – dico che questo sistema non può funzionare, che questa Didattica a Distanza è mortifera per l’essere umano.

Le parole “digitale”, “realtà aumentata”, “user experience”. “high touch” e “high tech” vanno molto bene nell’ambito del B2B, dei servizi finanziari e assicurativi di ultima generazione, in tutto il mondo adulto della produzione.

Ma non si possono applicare agli individui in via di sviluppo. L’unica “user experience” che conta per loro è quella analogica del contatto e della relazione con i pari, dell’esperienza fisica ed emotiva del corpo dentro un contesto, un ambiente fisico concreto.

E poi c’è la questione delle pari opportunità: non è un computer e una linea internet veloce a ridurre le differenze socio-economiche e culturali dei bambini e dei ragazzi, bensì la possibilità data a tutti di uscire di casa, di vivere e frequentare un ambiente diverso da quello della propria famiglia d’origine. E mai come nel quartiere del Giambellino-Lorenteggio di Milano in cui vivo questo è vero.

E’ il fatto di poter uscire dal cortile malmesso di una casa popolare, dove micro-criminalità e violenza sono i coinquilini con cui si deve convivere, è questa possibilità di uscire da lì ed entrare in contatto con insegnanti, educatori, allenatori sportivi, e bambini che vivono altre realtà famigliari a permettere a ciascuno di sognare per se stesso un futuro diverso dal proprio passato, dalla casa in cui si è nati. Se azzeriamo questo, non ci sarà più alcuna possibilità di riscatto sociale.

“Ognuno cresce solo se sognato” scriveva Danilo Dolci.
Io oggi aggiungerei che ognuno cresce solo se può sognare…

Lascio parlare loro, io uso tante parole complicate… loro l’hanno spiegata in modo molto più semplice e concreto.

Silvia Quarello

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