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Classi differenziate per stranieri: il no della Cisl Scuola, la lingua italiana si impara frequentando gli altri

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No alle classi per alunni stranieri, speciali, separate e comunque denominate: è la posizione della Cisl Scuola la cui segretaria generale Ivana Barbacci interviene sulla polemica scaturita da uno degli ultimi annunci del ministro Valditara.

La nostra idea di scuola – sottolinea Barbacci – esclude nel modo più categorico il concetto di classe differenziale, quale che sia la ‘debolezza’ di cui un alunno è portatore. Una scuola inclusiva, equa e accogliente è quella per la quale siamo da sempre in campo, come sindacato e prima ancora come persone che hanno scelto l’educazione e l’istruzione come proprio lavoro”.

“Detto questo – aggiunge la segretaria nazionale – siamo per una scuola che si impegna a dare di più a chi ha di meno: per dirla con don Milani, un ospedale che cura i malati, non chi è sano. Un ospedale in cui la terapia intensiva non è certo discriminante, quando è necessaria”.

“No assolutamente a classi differenziate in base alla competenza linguistica” ribadisce Barbacci che sottolinea: “Sì invece a tutto ciò che può aiutare a superare un gap comunicativo che genera inevitabilmente, questo sì, discriminazione e svantaggio. Senza tuttavia dimenticare che la frequentazione con coetanei che parlano italiano, specie per le fasce di età più basse, è il modo più efficace per apprendere velocemente la nostra lingua”.

La segretaria entra anche nel merito e fornisce anche qualche indicazione operativa: “Abbiamo in Italia esempi luminosi di ciò che significa prendersi cura di chi arriva nel nostro Paese senza conoscerne la lingua: penso alle scuole Penny Wirton di Anna Luce Lenzi e Eraldo Affinati, dove ogni persona è seguita in un rapporto uno a uno, grazie all’impegno di tanti volontari. Un modello che è difficile replicare pari pari nella scuola pubblica, ma al quale penso si possa senz’altro guardare per capire cosa vuol dire sostenere davvero, e non solo a parole, l’uguaglianza delle persone”.

Da anni – conclude Ivana Barbacci – utilizziamo, come se fossero sinonimi, tre termini: accoglienza, integrazione, inclusione. Non sono la stessa cosahanno sfumature diverse e sono tutti e tre elementi necessari nel nostro modello di scuola, una scuola che unisce, come ci piace definirla. Se ci limitiamo ad accogliere gli alunni, facciamo solo la prima parte del nostro dovere”.