Nella trattativa contrattuale, appena iniziata, c’é una significativa dimenticanza. A cosa mi riferisco? Ai sette mesi del 2015, che il governo ha rimosso dal confronto tra le parti.
Il fondamento di questa mia affermazione risiede nella sentenza 178 della Corte Costituzionale del 24 giugno 2015.
La massima Corte stabiliva il principio che il blocco contrattuale non poteva più protrarsi e quindi occorreva attivare la procedura di avvio della trattativa, decretando la non ammissibilità del criterio retroattivo e quindi salvando il governo da un salasso di 35 miliardi. Si noti la data del pronunciamento.
Quindi è ragionevole ipotizzare che la sua validità doveva decorrere dal luglio 2015. Se teniamo presente che la prima legge di Stabilità che tratta del rinnovo contrattuale è quella relativa all’anno finanziario 2016, allora è possibile affermare che l’Amministrazione ha fatto “sparire” sette mesi.
E il sindacato che dovrebbe difendere il diritto costituzionale alla giusta e adeguata retribuzione (art. 36 Costituzione), cosa fa? Ignora i sette mesi, suonando ai quattro venti la firma dell’accordo del 30 novembre, che sancisce questa dimenticanza. Senza dimenticare che “l’entusiasmo” delle parti sociali, confermato anche in queste ultime settimane si fonda su un aumento certo di 45 € (legge di Stabilità 2016 e 2017).
Detto questo l’eventuale nuovo contratto assume un profilo ancora più pesante e offensivo del lavoro dei docenti: avremo un “un aumento”(?), un “adeguamento”(?) della nostra busta paga assolutamente irricevibile, appesantito anche da un ulteriore sconto di cui nessuno parla o scrive.
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