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Contro la violenza è necessario un cammino unitario di scuola, genitori e studenti

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Ogni periodo storico mette in evidenza e fonda la propria identità su determinati ideali e valori. Evidentemente, quello attuale, non avendo più grandi idee e progetti, è in una fase di decadimento che incupisce e spaventa.

Da anni ci si occupa della conta dei femminicidi. Ogni volta che ciò accade, il clamore sembra rappresentare una sincera preoccupazione, quotidiani e televisioni non parlano d’altro. Poi basta, fine.

Difficilmente ci si accorge che, oggi, molti giovani vivono tra il benessere materiale ed il malessere interiore, sembrano affetti da una sindrome maniaco-depressiva e sviluppano facilmente alcune forme di solitudine sociale che sfociano, spesso, in una cieca e brutale violenza che non può nascere casualmente.

Sui loro volti, spesso anneriti da una aridità affettiva e da un vuoto educativo, si intravede il buio dell’anima, un disegno depressivo tipico di chi non riesce a credere in se stesso e nel proprio futuro.

Un ragazzo che trascorre gran parte della giornata attaccato al suo smartphone non preoccupa più di tanto i genitori, che non si chiedono come mai rimanga indifferente davanti ad un tramonto, ad una poesia, ad un’opera d’arte, ad un quadro pieno di colori bellissimi. Eppure, quando abbiamo bisogno di gioia, di sentirci vivi, cerchiamo l’incanto della luce e il ristoro delle bellezze naturali.

Depauperati emotivamente, chiusi in una gabbia mentale, i ragazzi mancano di quella crescita emotiva che li possa aiutare ad accarezzare i sensi, a conoscere bene le proprie emozioni e i propri sentimenti.

Nella maggior parte dei casi la normalità, il rispetto, la gentilezza, la delicatezza, ecc. sono un quadro educativo costoso, ingombrante e superfluo. Non solo. Si riduce sempre più il livello minimo di energia da spendere per mantenere viva ed efficace l’ autonomia relazionale e progettuale.

L’edonismo, le contraddizioni e la fuga dalle responsabilità, obbligano ciascuno a considerare la centralità valoriale una fatica, se non addirittura una inutile conquista.

Pertanto, questi brutali episodi devono far riflettere su alcune scelte educative che condannano i ragazzi ad una vita senza desiderio: impreparati, incerti, fragili, abituati a percorrere strade in piano, rettilinei senza curve, a nascondersi dietro le cose, senza mai avere il coraggio di affrontarle per abbracciare il senso reale della vita, fatto di si e no, di vittorie e di sconfitte.

Dietro questi fatti c’è sempre un’aridità affettiva e un vuoto educativo, che non permettono di riconoscersi parte attiva e responsabile di quella comunità che è la scuola, la famiglia, la società, che non aiutano ad affrontare l’esistenza nella sua bellezza, ma anche nelle sue fatiche, asperità e difficoltà.

Nella nostra civiltà c’è bisogno di un cammino unitario che inizi a mettere dei divieti, che faccia comprendere che qualsiasi relazione, non solo affettiva, non è un gioco di possesso, di potere o di comando, ma una sublime esperienza, che in ogni momento deve saper offrire la sua capacità di ascolto, il suo conforto, il suo aiuto, la sua parola.

In breve, c’è bisogno di rigore in educazione, a scuola, in famiglia. C’è bisogno di genitori che sappiano seguire la crescita dei propri figli, che sappiano essere accurati e profondi conoscitori dei problemi legati alla quotidianità dei propri figli.

Si tratta di aprire una nuova sfida educativa, certamente complessa, di avviare un confronto educativo per diffondere l’odore della semplicità e dell’autenticità e riempire l’animo dei colori di una raffinata emotività.

Purtroppo, la fragilità e l’instabilità emotiva di molti giovani, molto più diffusa rispetto al passato, rende più complessa, difficile e amara la qualità dei rapporti educativi.

Basterebbe un po’ di saggezza per capire che i nostri figli, frammenti di identità in costruzione, non necessitano di fantocci sommersi dal silenzio, ma di persone autentiche, capaci di severità, capaci di alzare la voce, non disposte a chiudere gli occhi davanti alle loro difficoltà.

Fernando Mazzeo

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