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Covid, scuola in presenza anche per i figli dei lavoratori “essenziali”: è polemica

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Come sappiamo, da domani, 8 marzo 2021, quasi 6 milioni tra bambini e ragazzi torneranno in didattica a distanza. Ovviamente, questo sta creando non pochi problemi alle famiglie italiane, costrette, soprattutto per i figli minori di 14 anni, a rivedere completamente l’organizzazione familiare, anche e soprattutto perché al momento non è previsto alcun tipo di sostegno.

L’ultimo DPCM 2 marzo 2021 viene incontro ai genitori, riprendendo le deroghe previste anche nei precedenti: resta infatti salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso di laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali, garantendo comunque il collegamento online con gli alunni della classe che sono in didattica digitale integrata.

Se non che il 4 marzo il Ministero ha emanato una nota a firma di Marco Bruschi, in cui aggiunge un’ulteriore deroga: deve essere garantita anche “la frequenza scolastica in presenza… degli alunni e studenti figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione”, “nell’ambito di specifiche, espresse e motivate richieste e … anche in ragione dell’età anagrafica”.

In realtà, questa misura era già stata prevista dal Piano Scuola 2020/21 e poi ripresa anche dalla nota 1990/2020.

L’ANP chiede chiarezza

L’Associazione Nazionale Presidi è intervenuta sulla questione e chiede al Ministero di intervenire a chiarire chi siano i lavoratori interessati da questa deroga.

L’ANP condivide pienamente il principio affermato. Non riteniamo però accettabile, soprattutto nello scenario in rapido peggioramento che caratterizza la situazione pandemica attuale, rimettere ai dirigenti scolastici l’individuazione delle categorie di cittadini legittimate a fruire della didattica in presenza per i propri figli. La nota, infatti, non opera alcuna precisazione sui parametri da assumere a riferimento per valutare le singole istanze.  Se la didattica in presenza per i figli dei key worker costituisce un diritto, allora non è dato arbitrio: non possono essere i dirigenti scolastici a individuare chi sia il titolare del diritto dando luogo, inevitabilmente, a ricostruzioni diverse e conseguenti disparità di trattamento nei confronti dei genitori. Abbiamo chiesto al Ministero dell’istruzione di intervenire urgentemente sulla questione, già molto sentita in vaste aree del Paese, emanando il previsto “atto dispositivo”. Ribadiamo che è assolutamente necessario individuare criteri univoci per l’attuazione del principio affermato dal D.M. n. 39/2020 a tutela dei diritti dei key worker e dell’interesse pubblico alla salute collettiva.” 

La Regione Emilia-Romagna non ci sta

Dall’Emila Romagna, intanto, arriva una “bacchettata” all’amministrazione centrale: secondo la Regione, “la circolare del 4 marzo scorso del dipartimento del ministero dell’Istruzione, analoga a una precedente di novembre, nella quale si davano indicazioni affinché si ponesse attenzione agli alunni figli di personale sanitario direttamente impegnato nel contenimento della pandemia e anche ai figli del personale impiegato presso altri, non meglio specificati, servizi pubblici essenziali, non ha un fondamento giuridico chiaro”.

Ciò perché, continua la Regione Emilia Romagna, “il Dpcm parla solo di alunni disabili e con bisogni educativi speciali, né sarebbe attuabile in assenza di alcuna indicazione operativa, che definisca precisamente innanzitutto di quali categorie si parli”.

“Regione Emilia-Romagna e Anci regionale – conclude il comunicato regionale – invieranno quindi subito una lettera al Governo e al ministro dell’Istruzione per chiedere chiarimenti urgenti rispetto all’attuale quadro normativo e alla circolare del Dipartimento. Circolare, è stato ribadito nella riunione, che non supera la valenza del Dpcm, né la può integrare con eguale forza normativa. Serve quindi o una specifica integrazione del Dpcm che estenda quella deroga con pari forza, o quanto meno un chiarimento di interpretazione autentica, rispetto a come integrare due disposizioni apparentemente confliggenti. Oltre al fatto di dover definire con precisione le categorie interessate“.