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Dacia Maraini: “La grammatica italiana è misogina. ‘Maestro’ indica prestigio, ‘maestra’ chi si occupa dei bambini”

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La celeberrima scrittrice Dacia Maraini ha rilasciato un’intervista a Il Corriere della Sera in cui ha discusso di temi profondamente attuali: dalla guerra tra Israele e Palestina fino alla violenza di genere, passando per la grammatica italiana e l’educazione.

Ecco, innanzitutto, una riflessione sul senso del Giorno della Memoria e del Ricordo: “Purtroppo le generazioni passano e gli educatori non sono capaci di trasmettere ai ragazzi le loro memorie. Si vive proiettati verso il futuro, i giovani non sanno niente degli orrori della Seconda guerra mondiale e possono cadere nella rete dei nostalgici sovvertitori della verità storica”.

Poi Maraini ha discusso in merito alla violenza sulle donne e ai femminicidi: “Tutta questa violenza contro le donne deriva da un’insofferenza nei riguardi delle nuove libertà femminili. L’accesso alle professioni finora interdette alle donne, le nuove libertà di pensiero, di parola e di azione, anche sessuale, provoca rabbia e voglia di vendetta. Non in tutti gli uomini, ma l’idea di dover rinunciare ad alcuni privilegi di millenni provoca rabbia e voglia di punizione. La saggezza umana in genere sta nel riconoscere, accettare e adeguarsi ai cambiamenti sociali e culturali. Gli uomini saggi si adeguano, altri si impuntano e diventano aggressivi”.

Maraini: “Lavorare sulla convivenza a partire dalle scuole”

“La grammatica italiana è molto misogina. Il maschile è universale, il femminile particolare. ‘Uomo’ intende l’essere umano compresa la donna; il contrario non esiste. ‘Maestro’ indica una posizione di prestigio: direttore d’orchestra, filosofo, politologo. ‘Maestra’ è colei che si occupa dei bambini”, ha aggiunto.

Ed ecco infine cosa preoccupa maggiormente alla scrittrice per le nuove generazioni: “Il feticismo delle macchine. Agli inizi del Novecento i futuristi inneggiarono alle locomotrici perché il mondo sarebbe diventato migliore, invece l’idea dell’eroismo tecnologico ha portato alla guerra. Abbiamo sviluppato in maniera magistrale le capacità tecniche e abbiamo trascurato lo sviluppo di psicologia, etica e senso della convivenza umana. Siamo andati sulla Luna, possiamo entrare in una vena con bisturi e videocamera, ma non siamo riusciti a creare una vera democrazia basata sulla pace e la convivenza. Dovremmo lavorarci di più, cominciando dalle scuole”, ha concluso Maraini.

Il merito non è negativo a prescindere

Secondo Maraini, come ha detto qualche mese fa, non si può eliminare totalmente il fattore del merito dalle scuole: “Mentre si può dire che la competizione imposta crea panico e disagio, dobbiamo riconoscere che la meritocrazia è un valore di cui non si può fare a meno per la crescita di un Paese. E dobbiamo convenire che il merito crea entusiasmo ed emulazione, salvo naturalmente qualche malignità da invidia a cui non bisogna dare troppa importanza”.

“Offrire uguale possibilità di accesso agli studi e all’apprendimento è fondamentale. Ma incoraggiare chi ha un talento speciale non è una ingiustizia. Anche se molti sostengono che chi viene favorito nelle sue predisposizioni finisce per ottenere un potere psicologico e culturale che comporta privilegi e potere”, questa la sintesi del suo pensiero.

“E qui si apre una voragine di domande: il talento viene dalla natura o è una costruzione sociale e culturale? Si nasce con capacità superiori alla massa o si è privilegiati per condizioni sociali che permettono di esprimere le capacità che tutti hanno ma non possono manifestare? Quando si va alla pratica però si scopre che la società nel suo insieme ha profondamente bisogno dei talenti: che sia per la matematica, per la filosofia, per la musica, per l’insegnamento, per l’economia, per la cucina, per la moda. Insomma c’è chi ha la mente e la mano felice e chi non ce l’ha”, ha aggiunto, sottolineando il fatto che il mondo ha certamente bisogno di talenti.