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Dimissioni del ministro Bianchi, la petizione lanciata da insegnanti e genitori con tutti i punti contestati

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Una petizione che sta raccogliendo centinaia di firme. Insegnanti, genitori, che vogliono un cambiamento e chiedono le dimissioni immediate del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e il ripristino di un confronto democratico sulla scuola. Con una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, il Manifesto Nuova Scuola dichiara di non voler più accettare le forzature di un Governo che “approfitta del PNRR per introdurre nelle scuole innovazioni dannose e controproducenti, verso cui spingono fortissimi interessi privati”. Viene poi citato il “carrozzone milionario della ‘Scuola di Alta Formazione’ per gli insegnanti fondato sui faraonici compensi per i futuri dirigenti” e “le assurde sperimentazioni delle competenze non cognitive, dei licei quadriennali e del coding”. Viene poi contestata la riforma del reclutamento (con una cervellotica raccolta punti e un vero e proprio mercato).

La petizione lanciata dal linguista, critico e sociologo Massimo Arcangeli scende poi nei particolari accusando il Ministro di:

denigrare le conoscenze degli insegnanti paragonandole alle informazioni presenti in Internet, intervenire pesantemente sulle modalità di insegnamento e sulle metodologie didattiche (“vuole imporre come insegnare, questione su cui non ha alcuna competenza specifica”), screditare l’istituzione affermando che non bisogna diminuire il numero di studenti per classe perché in classi più piccole gli studenti non si ritrovano, utilizzare espressioni come “riaddestrare gli insegnanti” all’uso di nuove tecnologie, misconoscendo le capacità e il lavoro di insegnanti che operano tutti i giorni meritoriamente.

Situazione resa ancor più grave, secondo la petizione, dalla mancata assunzione di ogni responsabilità da parte del ministro Bianchi, sulle modalità di ideazione, predisposizione e realizzazione di un concorso per il reclutamento dei futuri insegnanti che si è svolto in una modalità “a crocette” la cui qualità va ben oltre la peggiore delle ipotesi (più mortificante di un telequiz televisivo). Dunque un Ministro che non ha dato nessuna risposta ai candidati e un Ministero che avrebbe dovuto riconoscere gli errori commessi nella formulazione di decine e decine di quesiti e provvedere a ridefinire i punteggi dei candidati interessati.

Si chiede perciò al Capo dello Stato, garante della Costituzione, il ripristino di un corretto dibattito democratico sul futuro dell’Istruzione pubblica, che coinvolga chi nella scuola lavora e ne conosce problemi e necessità, e non diventi pretesto per arricchire il business di una “formazione” burocratizzata e di bassissimo livello culturale, la cancellazione delle parti del DL 36 che intervengono in spregio dell’art. 33 della Costituzione sul reclutamento e sulla formazione degli insegnanti e le dimissioni del ministro Bianchi (a meno di elezioni anticipate), non assolutamente all’altezza del ruolo che ricopre.

Il link della petizione

Il sondaggio della Tecnica della Scuola

Anche i lettori della Tecnica della Scuola hanno espresso la loro sfiducia, 6 docenti su 10 dicono no a Draghi, da quanto risulta nell’ultimo sondaggio, cui hanno partecipato 1.500 lettori (dei quali 8 su 10 insegnanti). Perché il no a Draghi? Semplicemente e soprattutto perché gli insegnanti non vogliono più il ministro Patrizio Bianchi. Una bocciatura del Presidente del Consiglio che in realtà è una bocciatura del ministro dell’Istruzione.

Dalle posizioni emerse dal sondaggio, infatti, viene chiarito esplicitamente che il problema non è Draghi ma la riforma del reclutamento e della formazione docenti, che stravolge le regole del gioco senza portare granché in più nelle tasche degli insegnanti, i quali – occorre ricordarlo – a fronte di una preparazione universitaria di altissimo profilo, tra lauree, master, abilitazioni, corsi di specializzazione, restano tra le categorie remunerate peggio in Europail rapporto Eurydice ha rivelato a questo proposito che ai nostri insegnanti viene corrisposto un importo annuale medio pari ad 8.000 euro in meno rispetto ai colleghi europei. E dopo un servizio di quindici anni il gap arriva ad 11.000 euro.