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Docenti di religione, equivoci giuridici sull’insegnamento

Il recente sforzo di Carmelo Mirisola di lasciare le mere “opinioni personali” sull’IRC (di cui qui già si era scritto) a favore di un più “sobrio ragionamento su precise caratteristiche dell’ordinamento giuridico” rischia di ingenerare nuovi equivoci.

Egli sostiene che da “un punto di vista giuridico, l’IRC è presente nella scuola italiana in virtù dell’art. 7 della costituzione italiana, che stabilisce un accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana per assicurare, in regime di pluralismo religioso (art. 8 della Costituzione), l’insegnamento della cultura religiosa nelle scuole pubbliche”.

Ma l’art. 7 non assicura tale “insegnamento”, che anzi non è mai nominato nella Costituzione. Né “stabilisce un accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana”. Recepisce piuttosto i Patti firmati nel ’29 da Mussolini per il Regno d’Italia. Il Concordato, parte di essi, prevedeva già allora, ben prima della nascita della Repubblica e della Costituzione, l’insegnamento della religione cattolica.

L’Accordo di Villa Madama del 1984 ha però intanto abrogato il Concordato e svincolato l’IRC dalla Costituzione. Come chiarito dal prof. Ainis, “il richiamo testuale ai Patti Lateranensi del 1929 non può coprire nuovi Patti su nuove materie”; e “non è vero che il Concordato sia protetto dalla Costituzione” (tantomeno l’IRC!). Sostenere il contrario è “un falso giuridico”.

Neanche il nuovo Accordo assicura un neutrale “insegnamento della cultura religiosa nelle scuole pubbliche” in “regime di pluralismo religioso”. È sempre una promozione del punto di vista della Chiesa cattolica. Forse è “presente nella scuola italiana a pieno titolo”, ma solo per chi se ne avvale. Ha “identità di vera e propria disciplina”, ma sui generis: è l’unica inabilitata ad attribuire voti e del tutto facoltativa.

Mirisola aggiunge che, poiché “lo Stato italiano ha demandato la formazione teologica alle facoltà pontificie (solo recentemente alcune università statali hanno iniziato ad offrire corsi di scienze delle religioni), fino a qui la selezione dei docenti è stata egualmente affidata ai Vescovi che sono i garanti della corretta formazione e delle abilità pedagogiche degli insegnanti stessi”.

Lo studio delle “scienze delle religioni” e la “formazione teologica” differirebbero soltanto per irrilevanti dettagli terminologici e amministrativi. Eppure una cosa è l’approccio che le scienze storico-antropologiche possono rivolgere al fenomeno religioso, tutt’altro è pretendere di fondare sui dogmi delle speculazioni che vanno a confondersi con le stesse credenze oggetto di studio.

Per questo i suoi docenti sono formati in facoltà pontificie e selezionati dai vescovi. Neppure nel concorso “ordinario” la loro “corretta formazione” specialistica verrebbe verificata e valutata con “imparzialità” (cfr. l’art. 3 della legge n. 186 del 18 luglio 2003). Men che meno in caso di stabilizzazione tramite l’auspicata “procedura straordinaria”.

Andrea Atzeni

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