Home Attualità Educare alle relazioni, ma il docente è capace di mediare i conflitti?

Educare alle relazioni, ma il docente è capace di mediare i conflitti?

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Romina Rotondo, docente romana di scuola secondaria di I grado, il seguente contributo sull’educazione alle relazioni.

Nell’ultimo libro dell’Iliade, dopo la terribile vendetta di Achille che strazia il corpo di Ettore, si assiste ad un repentino cambio di scena. Priamo, re di Troia, lascia le inespugnabili mura della sua città per avventurarsi nell’accampamento nemico e incontrare l’assassino di suo figlio. Non lo fa per vendicarsi, si limita a chiederne legittimamente il corpo: abbraccia le ginocchia del nemico, piange, vede in lui un figlio dietro il quale c’è un altro padre. Anche Achille si lascia andare al pianto. I due si abbracciano riconoscendosi nello stesso dolore, vittime entrambi della guerra.

Con il linguaggio di oggi queste pagine sarebbero una pratica di mediazione perfetta, un esempio di alfabetizzazione emotiva da manuale. Si tratta, invece, di un esempio di didattica tradizionale che per fortuna cattura ancora gli studenti, in uno di quei miracolosi casi in cui in classe “non vola una mosca”.

Nella quotidianità delle lezioni così affrontiamo, sia sul piano dell’apprendimento che su quello educativo, temi come “il conflitto”, “la guerra”, “il nemico”, “la rabbia”, ma anche la violenza contro la donna concepita come “bottino per i vincitori”. Argomenti attuali quando un caso di cronaca efferato, l’ennesimo femminicidio, fa scoppiare la questione educativa sotto la luce dell’emergenza, inevitabile detonatore per interventi dall’alto. La scuola è uno dei contesti in cui questa dinamica emergenziale interviene con precisione chirurgica secondo la logica della quantità: più educazione civica, più educazione all’affettività, ecc. Si introducono figure esterne, referenti, si quantificano ore e si burocratizzano questi processi attraverso sistemi di controllo delle “forme”. Se ci fosse una bilancia i chili sarebbero tanti, ma la qualità di quello che si pesa? Come fare rientrare in questa rigidità la complessità della persona e delle relazioni?

Chi conosce e si confronta con quello che già da anni si fa nelle scuole? Quali pratiche e sperimentazioni sono state analizzate e diffuse per affrontare e prevenire il disagio?

La scuola è un contenitore-specchio che riflette lo stato di una società, ma al tempo stesso contiene in sé una forza innovativa in un’accezione oggi forse considerata obsoleta, cioè “partendo dal basso”. Anche nel caso specifico della gestione delle emozioni, dell’acquisizione di un sentimento, che è un atto cognitivo, è la relazione educativa la base di partenza dell’insegnamento e quindi anche dell’apprendimento.

Richiamare l’attenzione sull’educazione all’affettività nelle scuole, come se non ci fosse affatto, per rispondere ad un’emergenza, ha il potere di attirare l’attenzione su questioni complesse e importanti e il limite di blindarle nella eco mediatica, legarle ad interventi calati dall’alto e non di vera prevenzione.

Questa logica ha spesso fatto danni al sistema scolastico che, più di altri, ha bisogno di interventi graduali, provenienti dalla sperimentazione e dalla formazione. Anche quest’ultima, parola magica da cui spesso passa il concetto di merito e mai quello di qualità, è diventata una giungla di proposte in cui si tende a confermare un modello scolastico burocratizzato, pieno zeppo di procedure complesse. Eppure di intelligenza emotiva, mediazione dei conflitti, si parla sempre meno perché gli spazi reali e virtuali in cui praticarle si sono drasticamente ridotti. Un servizio importantissimo come lo Sportello d’ascolto ha avuto la breve durata dell’emergenza Covid per essere poi delegato negli Istituti a forme di autofinanziamento.

La mediazione è entrata dalla porta principale nell’ambito giuridico nel concetto di “giustizia riparativa” (Maria Martello “Una giustizia alta e altra. La Mediazione nella nostra vita e nei tribunali” Ed. Paoline 2022 Milano), in un processo ancora in atto, che presuppone una formazione di alto livello per gli operatori, ma sta uscendo del tutto dall’ambito formativo scolastico dove, invece, ha il suo terreno privilegiato perché il docente è anche un “mediatore”.

Non dimentichiamo che la nostra utenza sono i bambini, i ragazzi, gli adolescenti e gli adulti nella loro genitorialità. Vite che s’intrecciano reciprocamente nella loro complessità, con le quali possiamo confrontarci prima come persone e poi nei diversi ruoli. Si può ancora parlare di bullismo partendo da una lettura animata in classe, si può parlare di donne e di abusi leggendo i classici della letteratura, si può parlare di integrazione passando dalla matematica o dall’arte. Accade ogni giorno, basta entrare in una qualsiasi aula, con una Lim alla parete e un libro sulla cattedra.

Romina Rotondo