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Educazione civica e religione cattolica

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La tortuosa introduzione dell’educazione civica sta suscitando parecchie questioni. Mi limito qui a richiamarne alcune conseguenti all’eventuale coinvolgimento dell’insegnamento della religione cattolica.

In molte scuole si stanno verificando fatti piuttosto bizzarri. I docenti di religione finiscono spesso per trattare di educazione civica, presentano parte del proprio programma dottrinale cattolico come contributo al nuovo insegnamento, in taluni casi rivestono persino il ruolo di coordinatori della materia e, in tale veste, assegnano veri e propri voti in decimi. E siccome l’educazione civica, a differenza dell’ora di religione, non è facoltativa, i docenti nominati dal vescovo finiscono per occuparsi anche di studenti che avevano declinato la loro offerta didattica conforme alle indicazioni della Chiesa.

Da un lato, in effetti, la legge istitutiva della nuova materia e le relative linee guida si riferiscono, in modo estremamente generico, ai diversi docenti e insegnamenti: non si impone che siano coinvolti tutti, ma si insiste sulla “trasversalità” e, in ogni caso, non c’è alcuna esplicita menzione della religione cattolica, men che meno per escluderla. I più adatti a occuparsene sarebbero i “docenti abilitati all’insegnamento delle discipline giuridico-economiche”, se però nell’istituto mancano, la materia è attribuita “in contitolarità a più docenti”, con le conseguenze che si possono immaginare.

D’altra parte, però, l’insegnamento della religione cattolica, i suoi programmi, i suoi docenti, la loro formazione e selezione hanno un carattere confessionale, da cui la facoltatività e la valutazione con semplici giudizi che non concorrono alla media dei voti. Insomma, nei casi sopra descritti capita che un medesimo docente, che per la propria materia e il proprio programma non potrebbe, ora assegna dei voti (o concorre ad assegnarli) su un’altra materia, ma pur sempre sulla base del suo stesso programma (anzi di una parte che viene semplicemente denominata in modo nuovo) e dell’identica attività didattica sotto l’egida diocesana (che da facoltativa diventa magari obbligatoria)

Se al ministero, agli uffici scolastici territoriali, alle dirigenze e agli organi collegiali degli istituti tutto questo pare normale, non ci resta che sperare che siano almeno gli utenti a denunciarlo come un ennesimo pasticcio. E a sbrogliarlo, al solito, dovrà provvedere, chissà quando, la magistratura.

Andrea Atzeni