Home I lettori ci scrivono Flusso di coscienza di una mamma maestra

Flusso di coscienza di una mamma maestra

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Giorno … ormai non lo ricordo più di quarantena, ma soprattutto di DaD: sembra quasi il nome di una malattia, la DaD … come una tra le tante sigle che, al primo collegio docenti cui partecipai nel mio primo giorno di supplenza, mi sconvolsero al punto che anche oggi rabbrividisco: DSA, alunno H, GLI, GLHO, GLHI e via dicendo.
Ma la DaD è innovazione, tecnologia, unico modo di agire e istruire durante questa pandemia. E ci sto! Ci sto perché amo il mio lavoro e i miei bambini.
Ma mentre da un lato la tecnologia avanza, il diritto all’istruzione è salvo, l’anno scolastico è valido, dall’ altro lato la SCUOLA inizia a fare un tuffo nel passato, a soccombere lentamente. Perché, parliamoci chiaro, se le competenze ci hanno  permesso di mettere una pietra sopra al puro nozionismo,  la nuova didattica non può essere altro che una trasmissione di nozioni. La scuola affonda perché si perdono la relazione, la complicità, il dialogo che in modo naturale scaturiscono quando davanti hai la cosa più bella del mondo: i bambini. Gli alunni della scuola primaria che ti abbracciano quando ti vedono, o quelli che vorrebbero, ma non riescono a farlo e ti guardano aspettando che sia tu a fare il primo passo; quelli che ridono, chiacchierano, litigano, piangono o consolano il compagno; quelli che si avvicinano per accarezzarti i capelli, che ti chiedono di essere presi in braccio per un po’; gli alunni della scuola dell’infanzia che hanno necessità del contatto fisico per essere rassicurati, che hanno bisogno che li aiuti a pulire il nasino che cola …

Tutto questo non passa per uno schermo: non vedo gli occhietti di Tizio che non ha capito una parola di quello che ho detto e non me lo dirà mai, non sento bene la domanda di Caio perché il segnale va e viene, non riesco a raggiungere Sempronio perché non può permettersi la connessione, anche se la scuola gli ha fornito il computer.

Dimenticavo: sono anche una mamma e ho delle responsabilità. In questo tempo bisogna dunque riscrivere la propria giornata: con il mio smartphone preparo le lezioni per le mie 11 classi (ci sono insegnanti che ne hanno anche 18), ma arrivano i compiti di mio figlio maggiore da correggere … Interrompo, correggo, spedisco, riprendo il lavoro. Devo però scaricare i nuovi compiti! Spiegargli alcune cose (le mamme, oggi, sono costrette anche a fare da insegnanti, grande limite della DaD) e convincerlo a lavorare. Sì, i bambini bisogna convincerli perché il fatto di non andare fisicamente a scuola li porta a credere di essere in vacanza.

Ok! Compiti finiti e via con la foto! Nooo!  Il formato è pesante e il registro elettronico lo rifiuta. Come si fa?  Scarica app, converti in pdf, carica, attenta a non confondere geografia con scienze: questa è per lunedì, quella è per martedì … dalla cucina un vociare – Mamma ho fame! Mamma la sorellina mi disturba! – Stop! Prepari da mangiare, cerchi di mettere pace, fai addormentare la piccola, fai addormentare il grande e, infine, carica compiti su piattaforma.

Mezzanotte. Forse è meglio andare a dormire. Ma il sonno non arriva perché, mentre leggi le ultime notizie su Facebook, inciampi nell’ultima trovata della ministra: organi collegiali in videoconferenza!

Il computer però serve anche al bambino ed io non posso permettermi di acquistarne un altro in questo momento: ok, me lo fornirà la scuola, ma … ho ‘solo’ 50 giga al mese per tutta la famiglia e mi chiedo: ma quando torneremo a scuola dovrò portarmi pure la cattedra? No, tranquilla, solo per metà … ma non tu a metà, i bambini 3 giorni sì e 3 no: i tre no sono a distanza. Allora anch’io tre no? No, tu 6 si: tu sarai a scuola e loro impareranno in videoconferenza. Ok, ma ho dei figli. E allora? La scuola non è una baby sitter. Concordo profondamente, ma il problema è un altro: quante ore lo devo far stare davanti allo schermo? Io devo sorvegliare, non una persona qualunque. Metti il papà. Ma anche lui lavora 6 giorni. Arrangiati. Va bene, mi licenzio … lui è pagato meglio. Tante donne vivranno la mia condizione, ma io non mi arrendo, voglio lavorare, mi piace e ho troppe spese. Farò così: pagherò la baby sitter, ma non per sorvegliare mio figlio davanti al computer, perché poi magari ci saranno anche altre baby sitter e mamme che sorveglieranno mio figlio anche quando è a scuola. No no, la pago per farlo giocare. E la scuola? Niente scuola, educazione parentale. Almeno non perdo il lavoro, tutelo la privacy di mio figlio e lui farà scuola 7 giorni su 7. E la socializzazione? Ma quale socializzazione? Quella non passa dal pc.

Tra madri che perderanno il lavoro, madri che daranno voti a insegnanti e alunni … Credo proprio che, da insegnante e mamma che ama il suo lavoro, i suoi bambini e i suoi figli, opterò per proteggere sempre loro. Mio figlio per primo. Imparerà a casa. E la scuola pubblica, così, ci abbandona, abbandona i bambini, i docenti e i genitori. E non è il coronavirus il problema. Il problema è stato quello di voler tagliare, risparmiare a discapito dell’istruzione.

Riaprite i plessi, ridimensionate le classi, facciamo lezione all’aperto. Diamo la possibilità ai bambini d’imparare sperimentando. Ma non facciamoli diventare degli automi davanti al computer.

M.L.B