Categorie: Attualità

Gli studenti non sanno l’italiano? Certo, scuola e università fanno lezione in inglese!

La vicenda dei 600 docenti universitari che lamentano la scarsa conoscenza della lingua italiana da parte degli universitari, continua a tenere banco.

In questa polemica sembrano coinvolti tutti, gli insegnanti di ogni ordine e grado, gli studenti, le famiglie, le scuole, ma anche la politica e le istituzioni.
Ma siamo sicuri che gli studenti universitari facciano gli errori da scuola elementare che hanno sollevato i prof universitari?

Per Valeria Della Valle, linguista, le cose non stanno esattamente così: “non bisogna generalizzare. In Italia ci sono ottime scuole e ottime università, scrive la linguista su Oggi, dalle quali gli studenti escono con una buona competenza linguistica, e altre che non riescono ad assicurare un livello sufficiente nell’uso dell’italiano parlato e, soprattutto, scritto”.

Della Valle, riconosce quali sono gli errori più frequenti, ed effettivamente molti sono da scuola elementare: accenti e apostrofi fuori posto e il loro continuo scambio di utilizzo ( e po’ è l’esempio classico), consonanti doppie mancanti, modi e tempi verbali strampalati, punteggiatura assente e approssimativa.

Per non parlare del lessico: secondo la linguista “la comprensione dei testi scritti presenta molte difficoltà e in troppi casi il lessico posseduto dai nostri studenti è insufficiente anche solo per poter leggere e capire gli articoli di un quotidiano”.

Tuttavia, come abbiamo detto, non è sempre così, ma certamente, se una fetta consistente degli studenti commette ancora tali errori, vuol dire che il sistema dell’istruzione avrebbe bisogno di riflettere e comprendere cosa non va.

Della Valle, tuttavia, ha le idee chiare in merito: “se in qualche liceo italiano si è deciso di insegnare tutto in inglese, se in molte università le materie scientifiche sono già insegnate esclusivamente in inglese, se le ore che i professori possono dedicare all’insegnamento della grammatica sono state progressivamente diminuite, se i docenti universitari non hanno l’obbligo di far fare prove scritte d’italiano agli studenti, come si può sperare che la situazione migliori?”

Quindi da un lato si spinge all’utilizzo sempre più “invadente” dell’inglese in ottica lavorativa per gli studenti, ma dall’altro lato, mentre i nostri studenti crescono con una conoscenza dell’inglese migliore rispetto agli studenti di ieri, si lasciano dietro lacune “imbarazzanti” di grammatica che ancora all’università non sono sanate e che spesso si trascinano anche nella professione.
Forse, seguendo il monito della linguista, sarebbe il caso di riflettere e trovare un equilibrio fra le varie necessità.

 

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Fabrizio De Angelis

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