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Guerra in Medio Oriente, ci vorrebbe la forza rivoluzionaria del perdono per iniziare un percorso di pacificazione

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Ci vorrebbe la forza rivoluzionaria del perdono, questa sì veramente sovversiva, per iniziare un percorso di pacificazione.

Ma non ci può essere perdono senza piena consapevolezza del male fatto, con accettazione, quindi, anche dei giudizi della giustizia umana.

Perché si disinneschi, da subito, il rischio della deflagrazione, cioè di una guerra aperta che si sa come è iniziata ma non si sa come potrà finire. Cioè in totale autodistruzione delle parti in conflitto.

Se in Iran, che sembra all’origine della terribile scelta di Hamas di attaccare Israele, è al potere il “partito di dio” (meglio il diminutivo), vedendo tanta violenza, anche gratuita, chissà, ho pensato, come “si sente solo” il Dio delle tre grandi religioni monoteiste che si affacciano sulla “Terra Santa”. In realtà, terra solcata dal dolore, dalla croce permanente, senza alcuna possibilità di una qualche salvezza.

“Chissà se Dio si sente solo”, canta anche Ligabue nel suo ultimo lavoro. Solo perché vede gli uomini tutti in preda alla paura, se non terrore, “di essere come gli altri, ma anche di non essere come gli altri. E questa paura ci rende ancora più soli”, sempre con Ligabue.

Penso in questo momento agli ebrei israeliani, ma non posso non pensare anche ai palestinesi, strumentalizzati da Hamas in funzione della logica follia dei fondamentalisti iraniani

Noi, “uomini del nostro tempo”, direbbe Ungaretti, “ancora quelli della pietra e della fionda”.

Non ho memoria di una fase storica così tragica, perché legati, in questo secondo dopoguerra, alla speranza che il cammino umano avrebbe favorito la pace, e la prevenzione dei conflitti. Invece le guerre che conosciamo, e quelle che per comodo non vogliamo conoscere (chi segue le guerre civili in molti Paesi africani, nelle mani di regimi autoritari, favorevoli ai nuovi colonialismi di Cina, India, Russia?), si stanno moltiplicando. Con sullo sfondo un cambiamento climatico che sconvolgerà tra qualche decennio l’intero Pianeta, con grandi nuove migrazioni.

L’Antico Testamento una soluzione l’aveva data: “Se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede”. Ma è col Nuovo Testamento che la nuova strada, col Grande Comandamento, viene tracciata. Per una fraternità che anticipi il male, sapendo che il Regno di Dio comunque non è di questo mondo, anche se è da questo mondo che ha la possibilità di iniziare a compiersi.

Di fronte alla lucida follia dei terroristi di Hamas non può bastare dunque la “legge del taglione”, cioè della vendetta. Anche se resta sempre sacro il diritto alla difesa.

La vendetta da sola, lo ripeto, non può bastare, perché si infiammerà una regione, i conflitti si allargheranno, e la pace diventerà un miraggio. Perché, al dunque, non ci può essere mai pace senza giustizia. Senza cioè sradicare le ragioni di un conflitto.

Se giustizia, dunque, deve essere fatta, la saggezza e l’intelligenza della politica, in tutti, devono andare oltre. Se, in altri termini, la risposta alla follia è la giustizia riparativa, questa non può essere la soluzione permanente, definitiva. La giustizia si deve convertire, invece, in cammino di fraternità. Altrimenti si allargherà ancor più la “guerra a pezzettini” di cui ha più volte parlato Papa Francesco. Una guerra di cui abbiamo sentore in varie parti del mondo odierno. E qui la politica deve farsi diplomazia, ragionevolezza. Sia per isolare le ideologie violente, nascoste dietro al “Dio con noi” di cui si fregiavano anche i nazisti, sia per puntare alla prevenzione e al coinvolgimento delle parti. Non esiste il “Dio degli eserciti”.

C’è un tempo per ogni cosa, sempre con linguaggio biblico. Ora è il tempo del sacro diritto alla difesa, dello scontro, della guerra aperta. Ma ci deve essere anche il tempo della pacificazione. E le armi non bastano.

La memoria, dunque, non ci ha insegnato niente, non ci insegna niente.

Eppure ricordo un bel viaggio in Terra Santa di qualche anno fa. Non il solito viaggio turistico, ma un viaggio, potrei dire, fuori catalogo. Con la visita al villaggio “Neve Shalom” (“Oasi di pace”), abitato da palestinesi ed ebrei, tutti di cittadinanza israeliana. Sotto lo stesso tetto.

La pace, dunque, è possibile. Al di là dell’auspicabile reciproco riconoscimento, con due Stati. Ma, prima ancora, conviventi assieme, sotto lo stesso cielo.

La guerra porta sempre altra guerra. E l’aria di guerra semplifica, imbruttisce, non coglie le differenze, ed il loro valore. Non è dunque vero che la guerra è generatrice, creatrice di nuova vita, di nuove civiltà, di nuove stagioni della storia. Queste ideologie portano solo morte, e tanta sofferenza innocente.

“Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male col bene” (Rm 12,21).