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I contributi delle famiglie non sono obbligatori. Ma chi salverà le scuole?

I tagli alle risorse scolastiche stanno sempre più mettendo in difficoltà il personale – dirigenti scolastici, Dsga, docenti – che ha la responsabilità di far quadrare i conti degli istituti. A complicare la situazione sono i ritardi cronici con cui il Miur assegna i fondi finalizzati a funzionamento e supplenze. Tanto che in tantissime scuole il debito del dicastero di viale Trastevere nei loro confronti rimane di alcune decine di migliaia di euro.
Per la gestione ordinaria degli istituti è diventato sempre più vitale, quindi, quel contributo che ogni famiglia versa ad inizio anno. Una “tassa”, la cui entità può variare da qualche euro fino ad alcune centinaia, che in base a recenti e attendibili indagini nazionali ha assunto la veste di emolumento salvifico.
Ma è possibile che a salvare la scuola pubblica, per Costituzione garantita dallo Stato, debbano essere le famiglie degli alunni? Secondo i diretti interessati la risposta è senza dubbio negativa. Da sempre lo sostengono le associazioni dei genitori. Di recente Sofia Sabatino, coordinatore della Rete degli studenti, sostiene che quella che stiamo vivendo nelle scuole è una “assurda contraddizione” trasformata in “prassi consolidata”, ma forse si dimentica “che lo studente è per legge obbligato a pagare solo 6,04 euro come tassa scolastica e 15,13 euro per la frequenza (anche se alle superiori, soprattutto nei tecnici e nei professionali gli importi sono molto più alti ndr), soldi che dovrebbero servire per ampliare l’offerta formativa delle scuole”.
Gli studenti registrano anche una destinazione anomala di questi contributi: anziché migliorare l’offerta formativa, ad esempio attivando progetti o attività aggiuntive, vengono destinati a coprire necessità quotidiane, come l’assistenza alle attrezzature. La rappresentante della Rete cita situazioni scolastiche dove i contributi volontari “schizzano alle stelle e oscillano dai 15 ai 300 euro per studente, soldi che spesso vanno a coprire le spese ordinarie delle scuole mentre la didattica viene sempre più ridotta”.
Poi ci sono i casi limite. Come quello di Grottammare in provincia di Ascoli,dove all’istituto Fazzini-Mercantini, in base a quanto risulta alla Sabatino, “non solo allo studente viene intimato di pagare obbligatoriamente il contributo, ma se questo non dovesse accadere subirà ritorsioni sulla condotta e sul rendimento scolastico”. In conclusione “è inaccettabile questo ricatto, soprattutto in un momento di crisi in cui le famiglie hanno sempre più difficoltà nel sostenere le spese scolastiche e in cui la percentuale di abbandono scolastico continua a salire, spesso proprio a causa dei costi e dell’assenza di diritto allo studio. Chiediamo al ministro Profumo – conclude Sabatino – di occuparsi immediatamente di questa problematica, che non può più essere sottovalutata o lasciata all’autonomia delle singole scuole”.
A questo punto, dal Ministero sarebbe il caso che arrivino segnali di chiarezza. Quello inviato dal ministro Gelmini, un mese prima di lasciare il dicastero dell’Istruzione, è servito solo a ribadire il concetto di non obbligatorietà. Ancora di più, dopo il “reintegro dei fondi per le spese di funzionamento e anzi del loro aumento in questo anno scolastico, da 130 a 200 milioni di euro”. Dalle scuole però lamentano il mancato invio di non pochi arretrati. In particolare quelli relativi al 2010. Se non arriveranno, chi provvederà stavolta a sanare i bilanci degli istituti?
Alessandro Giuliani

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