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I docenti come possono lavorare felici? Bassi stipendi, lungo precariato, stress, in pensione tardi e la liquidazione dopo tre anni

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Il ministro Valditara ha spesso affermato che è suo obiettivo prioritario ridare dignità al lavoro dell’insegnante. Non è un compito semplice, considerato che la perdita di status che il lavoro dell’insegnante ha subito con l’avvento della scuola di massa ha toccato gli aspetti principali di questa difficile professione. In ogni caso, anche nel periodo che ha preceduto la scuola di massa non erano tutte rose e fiori; gli insegnanti, come dipendenti pubblici, hanno sempre avuto una retribuzione modesta, il precariato esisteva come fenomeno piuttosto diffuso e non era raro avere la prima nomina in ruolo molto lontano da casa.

Di certo, però, l’insegnante aveva autorità culturale (anche coloro che non l’avrebbero meritata, perché gli ignoranti e gli arroganti non sono una invenzione recente) e le famiglie davano credito alla scuola in quanto istituzione, prescindendo dalle eventuali fragilità del singolo docente. Basta leggere qualche testimonianza letteraria e ci si renderà conto della differenza con i nostri tempi.

Memorabile lo Sciascia de Le parrocchie di Regalpetra: “Trenta ragazzi che non possono star fermi, che chiedono la correzione manuale che i regolamenti proibiscono; e mi portano allegri il bastoncino di mandorlo perché me ne serva sulle loro spalle; e vengono anche le mamme a raccomandarmi che li raddrizzi a botte, i loro figli – son legni storti, il timore ci vuole”.   La Sicilia del 1954 è molto lontana dai nostri tempi e la deprecabile violenza fisica, che era normale che il maestro (maschio, prevalentemente) esercitasse, era uno dei tanti mezzi per correggere i “legni storti”.

  Molta acqua è passata sotto i ponti e non sempre limpida; il lavoro del docente si è trasformato, autoritarismo e autorevolezza si sono trasformati anch’essi, la femminilizzazione estrema del mestiere lo ha, di fatto, trasformato in un lavoro di cura e l’aspetto culturale, legato alla trasmissione del sapere, è forse quello che attualmente viene meno considerato, tutti presi come si è, dai burocrati ministeriali sino all’ultimo dirigente scolastico, a porre l’accento su “come” si insegna piuttosto che su “cosa si sa” e “cosa si insegna”.

Tutti i disagi materiali legati alla professione dell’insegnante continuano a sussistere: bassi stipendi, lungo precariato, lavoro distante da casa, stress derivante dal lavoro. A questo aggiungiamo l’allungamento della vita lavorativa che determina il fatto che parecchi insegnanti rischiano di essere più vecchi dei nonni dei propri studenti. Questo quadro sintetico e senz’altro incompleto pone sul tappeto problemi seri e mette in evidenza che l’assunto iniziale (ridare dignità al lavoro degli insegnanti) è tutt’altro che a portata di mano.

   Penso che i lavoratori della scuola si dovrebbero esporre in prima persona e mettere mano, come accadde prima della Rivoluzione francese, alla scrittura di veri e propri cahiers de doléances, che individuino i problemi emergenti e ne propongano una soluzione. Comincio con due aspetti minori e risolvibili, semmai qualcuno avesse l’intenzione di dar corpo al proposito.

Primo punto: il Ministero rispetti la sentenza della Corte Costituzionale ed equipari i dipendenti pubblici ai privati per quel che riguarda il pagamento del TFR/TFS. Dal  momento in cui il governo Monti, per “salvare l’Italia” posticipò il pagamento della liquidazione ai dipendenti pubblici, anche a quelli andati in pensione con la raggiunta anzianità di servizio, non ci sono stati altro che peggioramenti. Abbiamo notizia certa di lavoratori che hanno atteso per tre anni e mezzo la prima tranche di liquidazione; non sono casi isolati ed anche l’INPS ha messo in rilievo il problema. Il CIV (Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’INPS) ha dichiarato che l’iter di erogazione del Tfr e del Tfs e della nuova prestazione di anticipo Tfs e Tfr «subisce attualmente significativi ritardi determinati non solo dalla normativa, ma da altri fattori, come la carenza di personale dedicato a tale attività e una insufficiente formazione degli operatori. Ciò sta determinando, soprattutto in alcune realtà territoriali, un parallelo incremento del contenzioso».

I lavoratori che hanno chiesto un anticipo del TFS/TFR attraverso le banche hanno anche l’emozione di vedersi recapitare dalle banche stesse intimazioni di sollecito all’INPS affinché l’Ente versi entro trenta giorni il dovuto; teniamo conto che questi lavoratori, per l’anticipo della liquidazione debbono pagare un interesse sulla quota ricevuta. Non è normale pagare per avere soldi propri: a ciò si aggiunga che, ad inizio del 2022,  il rendistato generale era a quota 0,78% , mentre oggi  supera il il 3,3% (Il Rendistato è pubblicato dalla Banca d’Italia e indica il rendimento medio ponderato di un paniere di titoli di Stato e incide perciò sugli interessi che si dovranno pagare per l’anticipo del TFS).  

Secondo punto: come si stanno spendendo i soldi del PNRR destinati alle scuole?    Dal mio osservatorio, ancorché limitato, colgo un forte malcontento. Destinare le risorse ad arredi e nuovi media digitali, mentre, per esempio, i servizi igienici sono indecorosi, non è certo un saggio investimento. Piove dal tetto? L’impianto di riscaldamento è vetusto? Gli infissi sono cadenti? Non importa, si devono acquistare nuovi media digitali e creare ambienti innovativi per l’apprendimento.

Come è andata di preciso non si sa (rimando all’articolo più recente che ho trovato sul tema, che presenta risultati parziali ma interessanti). Si sa, per esempio, che vengono smontate le “vecchie” LIM e sostituite con marchingegni più moderni. Ma la forte obsolescenza di materiali di questo tipo ci porta a chiederci cosa accadrà tra qualche anno, quando il parco tecnologico dovrà essere di nuovo rinnovato. Inoltre, spingere sul pedale dei media digitali persino alle primarie, contrasta con l’allarme lanciato da più parti (compresa l’OMS) sull’abuso di tali strumenti da parte  di minori. Quanto agli arredi, pensavamo di aver toccato il fondo con i “banchi con le rotelle”. Pensare che l’ambiente determini l’apprendimento non è del tutto sbagliato:una parete imbrattata e scrostata (le avrò viste soltanto io o esistono anche in tante scuole?) tapparelle sbilenche, luci al neon lampeggianti, pavimenti usurati e sconnessi creano un ambiente squallido sfavorevole a qualsiasi attività.

Non basterà, quindi, eliminare la cattedra e disporre di arredi “polisensoriali”: c’è anche chi crede alle regole del Feng Shui e pensa che si possa creare energia positiva con una accorta scelta dei materiali e la giusta disposizione del mobili nello spazio.

Nel rispetto delle opinioni di chiunque, vorrei ricordare che lo spazio abitato da umani incide sì sulle relazioni ma le determina in casi rari. Nella quotidianità è la relazione che si sa creare che ci farà accettare o meno lo spazio. Una coppia che litighi potrà orientare il letto secondo regole geomantiche ma non saranno queste a risolvere i loro contrasti; una classe guidata da un adulto imparerà bene e volentieri se l’adulto saprà come proporre ciò che conosce ai più giovani e, soprattutto, se l’adulto, a sua volta, non sarà schiacciato da una situazione densamente problematica, che renderebbe estremamente difficile per chiunque svolgere il compito delicato cui è chiamato un insegnante.

   Rispetto a questo secondo punto auspicherei che le scuole parlassero attraverso le testimonianze dei lavoratori e chiarissero dove sono andati a finire, nelle singole scuole, i fondi del PNRR e se le scuole ne hanno tratto vantaggio o meno. Non è consuetudine ministeriale verificare l’efficacia o meno di nuovi provvedimenti: bello sarebbe diventasse consuetudine di chi a scuola ci lavora. Sarebbe un notevole “cambio di passo” rispetto al gusto del cambiamento per il cambiamento (unica ratio visibile ad occhio nudo, il risparmio) che sembra aver dominato gli ultimi decenni di politica scolastica.