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I giovani ignorano la lingua italiana, la Crusca svela i motivi: addio al corsivo, largo a stampatello e inglese, troppo degrado culturale

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La disabitudine a scrivere in corsivo e l’utilizzo sempre più frequente dello stampatello, l’uso smodato dell’inglese, anche nei corsi universitari, e l’arretramento culturale generalizzato: sono alcune delle maggiori “minacce” all’utilizzo corretto dell’italiano e alla sana crescita delle nuove generazioni. A rilevarlo sono i massimi esponenti dell’Accademia della Crusca.

Addio corsivo?

Andiamo per ordine. E partiamo del corsivo. Oltre al proliferare di discipline che alla primaria, in particolare, avrebbero penalizzato la grammatica, gli esperti parlano di alti rischi derivanti dal sempre più precoce ricorso, già alla primaria, alle tecnologie informatiche a discapito della scrittura a mano.

“L’acquisizione della scrittura corsiva – ha detto all’Adnkronos il presidente onorario dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini – è invece fondamentale per ottenere il controllo manuale dell’arto sotto dominio intellettuale, in un equilibrio assolutamente prezioso e necessario”.

“La scrittura manuale – ha continuato – deve restare come forma educativa primaria e come strumento utilissimo, e deve essere anche curata la forma di un corsivo leggibile. Non basta muovere le dita veloci su di una tastiera, non basta dettare un messaggio vocale o trascritto automaticamente da una macchina. Guai a chi vuole trasformare il nativo digitale in un analfabeta sostanziale”.

“Per prima cosa, dunque, occorre dire con chiarezza che chi propone di abolire la scrittura manuale (se pur esiste davvero chi abbia l’impudenza di proporre una cosa del genere), manca di qualunque criterio pratico ed educativo. Immaginiamo un uomo che non sia in grado di prendere un appunto al volo su un pezzo di carta, ma dipenda sempre dalla batteria di un suo strumento. Poveretto, quest’uomo! Come maledirà chi lo ha ridotto così”.

A proposito della “diffusione dello stampatello nella scrittura a mano – ha aggiunto Marazzini – la cosa si fa più complicata. Probabilmente gli stili individuali di scrittura stanno diventando indecifrabili. Ricordo che mio padre, nato nel 1907, aveva una grafia bellissima, perché aveva studiato a scuola calligrafia, che poi fu abolita. Cent’anni senza calligrafia possono forse produrre lo stampatello generalizzato. Però solo il corsivo, con la sua fluidità, interrotta dalle separazioni tra parole, ha tutte le caratteristiche positive”.

La lettera alla ministra Bernini

Ma i timori non sono solo per la “scomparsa” del corsivo: il presidente della Crusca, Paolo D’Achille, professore ordinario di Linguistica Italiana al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Roma Tre, ha scritto ad Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della Ricerca.

Nella lettera, inviata anche al rettore dell’Ateneo di Bologna, Giovanni Molari, il presidente si lamenta per “la progressiva eliminazione dell’italiano dall’insegnamento universitario (come pure dalla ricerca) in vista di un futuro monolinguismo inglese costituisce, come ha osservato anche la European Federation of National Institutions for Language, un grave rischio per la sopravvivenza dell’italiano come lingua di cultura, anzitutto, ma anche come lingua tout court, una volta privata di settori fondamentali come i linguaggi tecnici e settoriali”.

La presa di posizione del presidente dell’Accademia Crusca arriva dopo che nei giorni scorsi alla secolare istituzione fiorentina, riferisce l’Adnkronos, è arrivata la segnalazione del fatto che presso

Nei giorni passati era emerso che all’Università di Bologna, sede di Rimini, cesserà il Corso di Laurea in Economia del Turismo, a partire dall’anno accademico 2024/2025, mentre rimarrà in essere quello denominato ‘Economics of Tourism and Cities’, i cui insegnamenti si svolgeranno interamente in lingua inglese.

Subito dopo, sono arrivate diverse e-mail alle istituzioni con richieste di intervento, pervenute anche da operatori turistici. “Nella sua veste di istituto statale che ha tra i propri compiti istituzionali quello di promuovere e tutelare lo studio della lingua italiana”, l’Accademia della Crusca ha chiesto spiegazioni in una lettera aperta indirizzata alla ministra Bernini e al Magnifico Rettore dell’Università degli Studi Alma Mater di Bologna, Giovanni Molari.

“Il corso in inglese è un corso triennale e tra gli obiettivi di tutti i corsi di laurea triennale, di qualunque classe, figura, per legge, quello che chi consegue il titolo abbia un pieno possesso dell’italiano; come può essere assicurato questo obiettivo da un corso ‘la cui didattica si svolgerà interamente in lingua inglese’, come è specificato sul sito dell’Alma Mater?”, si è chiesto il presidente dell’Accademia della Crusca.

Inoltre, ha continuato, “esiste una esplicita sentenza della Corte costituzionale che, pur ammettendo e anzi promuovendo la didattica in inglese, richiede espressamente che la lingua italiana non venga estromessa del tutto da ogni corso di studi, tanto che anche il Politecnico di Milano, che prevedeva corsi (peraltro magistrali e non triennali) interamente in inglese, ha tenuto almeno parzialmente conto di tale sentenza inserendo qualche insegnamento (pur se secondario e/o opzionale) in italiano. Come è possibile che tale sentenza venga ignorata?”.

Paolo D’Achille, infine, sottolinea che il titolo del corso, “Economia del turismo nella dismessa intitolazione italiana, Economics of Tourism and Cities in quello inglese, parla di turismo ed è verosimile pensare che ci si riferisca a quello che ha per oggetto l’Italia, le sue città, il suo incomparabile patrimonio di beni naturali, artistici, archeologici, storici e culturali. Possibile che in questo quadro la lingua italiana sia tagliata del tutto fuori? Ma i nomi delle città, degli artisti, delle opere, dei musei, non sono ancora in italiano?”

Eppure “l’italiano sta bene”

Secondo la presidente onoraria dell’Accademia della Crusca, Nicoletta Maraschio, anche lei intervistata dall’AdnKronos, l’italiano “sta bene” ma l’uso del nostro idioma è messo in pericolo “dall’abbassamento culturale generale che si riscontra nel nostro Paese”. Le parole arrivano nel giorno in cui si celebra la Giornata internazionale della Lingua Madre.

Dunque, “la scuola deve avere un ruolo fondamentale dal punto di vista della preparazione linguistica introducendo alla complessità dell’italiano”.

“La questione – dice – è che le diseguaglianze culturali e sociali si riflettono nell’uso della lingua: si va da persone che la conoscono bene, e che soprattutto hanno una buona competenza comunicativa, a cittadini che hanno una lingua abbastanza povera e sempre uguale a sé stessa. In questo caso, ad esempio, il rischio è che la lingua dei social sia usata anche in altri ambiti che richiedono invece un uso più riflessivo dell’italiano”.

La studiosa, che in questo periodo è al lavoro su un saggio dedicato all’italiano della radio, registra delle forti disparità anche in questo mezzo di comunicazione. “Ascoltando le diversi emittenti, si notano delle differenze enormi nell’uso del nostro idioma. Al di là del turpiloquio, che è sempre più diffuso, nelle radio spesso si ricorre all’aggressività verbale”.

La linguista sottolinea che “Radio3 Rai mantiene un livello linguistico molto elevato mentre altre emittenti usano la lingua in modo frammentario e autoreferenziale”.

Quale impatto potrebbe avere l’intelligenza artificiale sulla nostra lingua? “Alcuni esperimenti – ha detto – hanno dimostrato che l’intelligenza artificiale è in grado di produrre dei testi formalmente corretti in cui mancano, però, il riferimento preciso al contesto e le sfumature ironiche e stilistiche che normalmente introduciamo nel nostro linguaggio quando parliamo”.

Per concludere, secondo Nicoletta Maraschio “tutto sommato sono testi corretti ma piuttosto banali. Sul versante della traduzione, che è un campo fondamentale, potrebbero venire dall’intelligenza artificiale degli aiuti reali alla tutela delle lingue materne”.