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I giovani sono violenti per colpa della scuola? Non è così: famiglie disastrate, individualismo sfrenato e social media hanno preso il sopravvento

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“Se i ragazzi sbagliano e commettono reati la responsabilità è degli adulti assenti o all’opposto troppo presenti, e della scuola che non li aiuta e non li accompagna“. Come abbiamo già riportato, è forte il monito di don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile ‘Beccaria’ e docente alla Cattolica a commento di casi di violenza sessuale che nei giorni passati hanno coinvolto delle giovani bambine e ragazze di Palermo e Caivano.

Il monito del sacerdote

Don Claudio Burgio ha detto al quotidiano Il Messaggero che quelli che commettono reati sessuali vanno catalogati come “analfabeti dal punto di vista emotivo-sentimentale. Oggi i ragazzi – continua il sacerdote – si formano più su internet che con i propri genitori, forse complice un’educazione cattolica che ha messo in difficoltà i genitori ad affrontare questi argomenti”.

Rispetto al ceto, dice sempre don Claudio Burgio, “l’analfabetismo emotivo è trasversale, sono ragazzi che non sono stati educati agli affetti, al rispetto della persona. Questo fa sì che i giovani si autogovernino nelle emozioni, nelle scelte che fanno, sono autarchici. Gli adulti sono irrilevanti rispetto a certe questioni. Tutti questi gesti violenti sono poi favoriti dall’uso dei social“.

Ecco perché servirebbero corsi di educazione sessuale. Ma in classe non si fa, se non in casi rari, ricorda il sacerdote. Che quindi accusa il mondo dell’Istruzione. “Anche la scuola non aiuta, visto che tutt’al più si limita a qualche corso ripetitivo e inutile: l’idea di educare i ragazzi anche a una cultura dell’altro, al rispetto per l’alterità anche in ambito sentimentale e sessuale è un tema che la scuola non affronta”.

Una visione riduttiva

Francamente, la visione del sacerdote appare un po’ riduttiva. È una interpretazione che, a nostro modo di vedere, poteva essere efficace alcuni decenni fa, quando la personalità e la crescita di un individuo, in una società più tradizionale, era legata a doppio filo alla triade famiglia-scuola-chiesa.

Nel 2023 la scuola, invece, come può risolvere il problema delle tantissime famiglie “sgretolate” che non svolgono più il loro ruolo primario educante? Come fa un docente a rispondere al permissivismo a tutti i costi con cui crescono le nostre generazioni e all’individualismo esasperato, indotto da globalizzazione e anti-valori imperanti? E, non per ultimo, come può contrastare l’invasione totale dei social media che porta alla totale mancanza di elaborazione critica e all’utilizzo sempre più limitato del ragionamento logico?

È lo stesso don Claudio Burgio a parlare di pornografia on line: “è talmente diffusa – ha detto – che un adolescente appena ha in mano un cellulare può subito in qualche modo incontrare prodotti di questo genere, per cui molti adolescenti apprendono tutto dai video. Il problema è che non sono accompagnati dall’adulto a comprendere le immagini e a imparare il rispetto dell’altro”.

Il Ministero si è mosso

In ogni caso, da parte dell’amministrazione, contro chi si rende artefice di atti di violenza, di ogni genere, è partita la linea maggiore rigore: il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha confermato che i giorni di sospensioni degli studenti “deviati” d’ora in poi saranno considerati come recupero attivo, quindi da svolgere anche con lavori socialmente utili, perché “è una bellissima esperienza servire un piatto caldo agli anziani”.

E nessuna deroga verrà attuata per chi ha 5 in condotta, che quindi dovrà necessariamente ripetere l’anno.

Perché non bastano dei semplici corsi

Non pensiamo che possa bastare, ma è già un segnale. Come non pensiamo possano bastare dei corsi di educazione sessuale in tutte le scuole per cancellare la piaga dal maschilismo e della cultura del sesso precoce.

La sociologia ci insegna che i processi e le tendenze culturali vanno affrontati da più punti di vista: pensare che la scuola possa risolvere tutto è vera utopia.

Basti pensare alla matematica: si insegna, per svariate ore alla settimana, dal primo all’ultimo giorno di scuola, fino alla maturità. Eppure, la metà degli studenti si diploma senza le competenze minime.