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I videogiochi: un modello per la didattica

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Coinvolgimento, passione, divertimento caratterizzano il rapporto dei giovani con i videogiochi: atteggiamenti che, solo raramente si riscontrano nelle aule scolastiche.

Nel PC gaming si affrontano situazioni aperte: si devono riconoscere i problemi, fare scelte, formulare ipotesi, costruire modelli, gestire strategie, capitalizzare gli errori…i giocatori sono posti in situazioni ignote, in cui devono agire razionalmente e senza indugio.

A scuola, rarissimamente, lo studente é posto in situazione di ricerca. La passività regna nelle classi.

L’attenzione del docente si concentra sul passaggio della conoscenza e sulla determinazione della relativa profondità.

Allo studente è offerto un prodotto finito, nulla si dice del processo produttivo: la demotivazione è l’inevitabile conseguenza.

Sconcertante il fatto che nessuno abbia rilevato che i numerosi, quarantennali stimoli ufficiali, volti all’innovazione didattica, non abbiano prodotto alcun effetto. Tra questi si richiama la raccomandazione del MIUR [Regolamenti di riordino 2010] riguardante “i punti fondamentali e imprescindibili che solo la pratica didattica è in grado di integrare e sviluppare”.

Il concetto “disciplina” è da arricchire. Si deve abbandonare la sua immagine di summa dei saperi depositata nei sacri testi.

Essa è da intendersi come processo spiraliforme che prende avvio dal campo in cui nasce il problema, prosegue con la sua definizione, con la raccolta di dati, con la formulazione d’ipotesi, con la gestione di strategia, con l’ottenimento di risultati che, valutati, consentono di migliorare la prestazione e che aprono il campo alla percezione di nuove sfide.

Un’esemplificazione del cambiamento che il rispetto delle regole scolastiche avrebbe indotto è visibile in rete: “Laboratorio di matematica: Archimede”.

 

Enrico Maranzana