
Chi l’avrebbe mai detto? Trump, dopo quattro anni, si è ripreso il suo posto alla Casa Bianca.
Impensabile allora, soprattutto dopo l’assalto a Capitol Hill del 2021, cioè dopo il tentativo di insurrezione e le accuse di brogli.
Se la politica nelle democrazie, ci siamo sempre ripetuti, è la più alta forma di organizzazione, secondo regole, della vita delle persone, questo secondo mandato di Trump in qualche modo spiazza un po’ tutti. Come spiazza il veloce soccorso da parte di grandi oligarchi delle nuove tecnologie, subito proni al nuovo potere pro tempore.
Sullo sfondo da un lato viene confermato il monito di Margaret Thatcher, condiviso dal presidente Reagan: “Non esiste la società, esistono solo gli individui”. Dall’altro, in realtà, non si parla di individui singoli, ma secondo un rimando ad una qualche idea di “nazione”, o forse di “etnia”, per dire di un sottofondo storico-culturale identitario.
La vita non sarebbe altro, come conseguenza, che lotta darwiniana, ed i valori considerati tutti funzionali a questa lotta.
E’ la celebrazione della competizione come motore dell’esistenza, sociale, economica, innovativa, culturale.
Il vero bene comune, dunque, diventa la difesa della “nazione”, degli interessi nazionali, della sicurezza nazionale, cioè di quella identità che è minacciata dal globalismo, cioè dalla riduzione del vivere sociale alle mille solitudini. L’unica società riconosciuta è solo la vecchia idea di “nazione”, una indistinta identità della “società civile”, senza cioè autonomia pluralista, rappresentata solo dal potere politico, cioè dal leader del momento.
Un’identità che ha bisogno della comparazione e della distinzione dagli altri per riconoscersi come identità.
Chi sono gli altri? I competitori. Contro i quali misurarci e determinare i nostri valori, il nostro vissuto, la nostra idea di futuro.
Un’idea che sia però nostra, che non accetti quella società liquida, porosa, disposta a crescere assieme anche con chi è altro da noi, cioè pluralista.
No dunque alla società aperta. No ai cosiddetti diversi, no agli stranieri, no agli immigrati. Diventati capri espiatori, perché portatori di diversità.
Un no secco, anche se si sa benissimo che i dati demografici ci stanno dicendo invece altro, che senza l’apertura sociale non ci sarà sostenibilità a breve del nostro stesso modello di vita.
Senza dimenticare, poi, che la geopolitica odierna, che ha già cambiato la nostra carta geografica mondiale, senza che ce ne siamo accorti, sta già viaggiando su altri orizzonti.
Proviamo tutti a sostituire le nostre vecchie carte, con l’Atlantico al centro, con quella che ha il Pacifico. Dove è la vecchia Europa? Una piccola appendice.
Trump interpreta questa convinzione. Ma sapendo che l’orizzonte non è più eurocentrico.
Il suo metodo è semplice, decisionista ed imprevedibile. Perché la politica è solo potere, la lotta per il potere, non la verità delle cose.
La politica cioè ridotta a mero potere, non più faticosa ricerca della mediazione. E per conquistarlo tutte le forme diventano lecite. Tanto non c’è differenza tra finzione e realtà. Ma saranno le contraddizioni che diranno come stanno le cose.
A rappresentare lo spartiacque di lettura politica diventa il concetto di confine, di frontiera.
Il confine diventa parte delle nostre vite, dentro di noi. Noi e loro, io e tu.
Le guerre sono la traduzione all’estremo di questa logica, con l’idea del “padroni a casa nostra” (lo “spazio vitale” di tragica memoria).
Siamo padroni, non ospiti, in questa Terra.
Anche le fedi religiose e ideologiche diventano strumenti, tutte funzionali.
Come si vede, la storia e la geografia pensate in parallelo, sino a che le contraddizioni non faranno la loro parte.
In altre parole, sino a quando questa “visione” potrà funzionare?
O il mondo sta già andando verso altri orizzonti?
La denatalità e l’invecchiamento, per la nostra Europa, stanno già ridisegnando il nuovo globalismo diviso per interessi regionali, cioè per grandi aree.
Lo scenario globale sta diventando, anche dopo la fine della globalizzazione, sempre più multipolare.
Chi ha vissuto l’esperienza di Erasmus l’ha ben compreso.
Ma sono le guerre, le 56 ancora oggi attive, che segneranno il futuro prossimo.
E saranno le forme di mobilità globale che disegneranno il nostro futuro.
Il potenziale migratorio attuale, misurato da una società di consulenza americana Gallup, ha previsto che il 16% della popolazione mondiale, cioè 900 milioni di persone, si sposterà nei prossimi anni. Per i motivi più diversi. Solo il 29% dei potenziali migranti dichiara di avere come meta l’Europa, per un totale di 7 milioni di nuovi ingressi.
Nei cinque anni prima di Covid gli ingressi nell’UE furono 2,4 milioni all’anno. Questi i flussi di entrata, ma se contiamo anche i flussi di uscita dall’UE la situazione diventa sotto controllo. Ma comunque non sufficiente, data la denatalità.
Non c’è insomma invasione, né sostituzione etnica. E l’UE non è la prima meta.
Il passo in avanti che ci vorrebbe è come governare, e non subire, questi fenomeni, eliminando le forme di illegalità, e la gestione mafiosa degli irregolari.
La Nigeria, tanto per capirci, sta viaggiando come crescita demografica verso i 400 milioni, mentre la vecchia Europa è poco sopra come popolazione.
Un nuovo mondo si è già aperto. Toccherà alla politica gestire le nuove forme di mobilità circolare.
Trump o non Trump è questo il futuro prossimo che ci attende.
Ma in crisi oggi è anzitutto l’impossibilità di un destino comune. Di un legame sociale non più fondato sull’appartenenza etnica o religiosa, bensì sull’adesione ad alcuni valori. Senza i quali il destino delle guerre sarà inevitabile.