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Il sostegno scolastico ai tempi del coronavirus

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L’emergenza ‘coronavirus’ sopratutto nelle scuole esposte nelle cosi dette  – zone rosse – evidenzia una crescente precarietà da parte degli insegnanti. Soprattutto il problema della nuova organizzazione scolastica, per la gestione didattica dei ragazzi certificati L.104 (che hanno bisogno dell’insegnante di sostegno) fa insorgere situazioni discordanti tra gli insegnanti che dimostrano, talvolta, di essere incapaci di catalizzare i bisogni educativi speciali con incisività, coordinamento e buonsenso. 

Scrivo queste due righe per evidenziare che, in questo particolare momento storico  in modalità “DaD” o “DiD” (didattica a distanza o integrata) alcune iniziative funzionali alle esigenze delle famiglie e degli alunni disabili sono ritenute, da molti insegnanti, inadeguate ai principi dell’inclusione. Tra le iniziative sostenute dai presidi ma giudicate inadeguate da molti docenti  c’e’ quella che permette, all’alunno disabile, di frequentare la scuola in presenza, anche senza i compagni. 

Infatti alcuni ragazzi disabili si sono adattati alla situazione coronavirus preferendo svolgere la didattica in presenza col docente curricolare in classe (impegnato con la dad) e l’insegnante della cattedra di sostegno. Questo modus operandi straordinario in conformità alle disposizioni ministeriali riconducibili all’emergenza sanitaria e’ stato esageratamente criticato e giudicato come un ritorno alle classi “DIFFERENZIALI”.

Perchè ogni volta che c’e’ un problema c’e’ sempre qualcuno che lo contraddice con  una critica o un sofisma che non ha la volontà di risolverlo ma ampliarlo in una forma di nichilismo senza via d’uscita?

Tornando infatti alla situazione coronavirus il fatto di dare una mano ai ragazzi più” fragili dandogli la possibilità di frequentare la scuola – in presenza – anche senza i compagni  – non e’ una azione retrograda e anti-inclusiva….anzi!..

Il problema secondo me e nel modo di riconoscere e “accogliere” i veri problemi legati alla disabilita’ e l’inclusione. Come sostiene il filosofo  Galimberti occorre insegnare i concetti per farli passare nel cuore; quindi se si permette allo studente disabile, di frequentare la scuola, anche senza i suoi compagni, a causa di un’emergenza, non e’ per mandarlo incontro ad una discriminazione ma per dargli un sostegno; una risorsa di cui egli non si deve vergognare.

I  proclami di molti insegnanti che denunciano il cosi’ detto – ritorno alle classi differenziali –  degli alunni certificati e più fragili che svolgono parte delle lezioni in presenza e senza i compagni a mio parere, denota l’insufficienza di un sentimento di comprensione. Credo sia più dannoso il principio che la differenza soggettiva sia qualcosa da nascondere, piuttosto che farla emergere con le sue potenzialità, unicità e fragilità secondo i veri principi dell’inclusione su base icf.

Miria Binda