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Inclusione, i docenti italiani sono in grado di accogliere e valorizzare le competenze e i saperi dei migranti?

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’interessante articolo dei docenti Giovanni Cogliandro e Carlo Scognamiglio

Alcune settimane fa abbiamo pubblicato su MicroMega una riflessione dedicata alla cifra multiculturale del sapere scientifico, pericolosamente occultata da una lunga storia di colonialismo e imperialismo. Può essere interessante però valutare in che misura, anziché negata, quella dimensione cosmopolita del sapere potrebbe essere, con un’inversione di segno, ri-valorizzata, ripensando l’organizzazione stessa delle istituzioni formative all’interno dei centri d’accoglienza e – a cascata, intorno al medesimo concetto – l’intero sistema di istruzione italiano.

Questo ragionamento, all’interno di una riflessione più ampia, potrebbe condurre a un allargamento stesso del concetto di “scuola”, che è in fondo un “fare società”, mettere in condivisione storie, saperi e strumenti, per reinterpretare e rileggere il mondo e la vita. Il concetto di istruzione, a ben guardare, rappresenta proprio una sintesi tra scienza e accoglienza, come trasmissione e costruzione dei saperi in una logica di condivisione, dialogo e curiosità reciproca.

Alcune indicazioni su cui riflettere sono contenute in un documento presentato dal Ministero dell’Istruzione a marzo 2022 dal titolo Orientamenti Interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di alunni e alunne provenienti da contesti migratori. In questo documento le nostre politiche di accoglienza e di inclusione, frutto di una scelta preferenziale per la centralità della persona e per la valorizzazione della relazione in tutte le sue declinazioni, si incrociano con la visione delle persone come un potenziale di crescita per la nostra società e per la nostra scuola. Questa scelta preferenziale, unitamente alla formazione continua dei docenti sui contenuti e sui diversi metodi che si stanno sviluppando attraverso la pratica continua e strutturale dell’educazione al rispetto e alla multiculturalità, dà consistenza tangibile all’ideale regolativo della giustizia, che quindi non ricade nell’ambito di un’utopia sterile ma di un’utopia concreta e ottimista (nel senso gramsciano) nel plasmare la realtà come indicato recentemente da David Estlund (Utopophobia: On the Limits (If Any) of Political Philosophy), il quale insiste sul fatto che il tipo di conoscenza implicato da una teoria ideale della giustizia nella società non richiede il pieno successo politico della teoria stessa. Integrazione, formazione, ottimismo danno concretezza a una politica intrinsecamente inclusiva, considerando l’accoglienza non come un dover essere, una dinamica ulteriore e un qualcosa di aggiunto alle strutture portanti della nostra formazione e della nostra vita sociale ed economica, ma come condizione di possibilità della scuola stessa (e della società intera) in quanto tale.

Lo scorso 10 agosto la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato nel campo profughi dell’isola di Cipro iniziative formative per i rifugiati, con corsi d’inglese per i minori, una Scuola per la pace e una serie di visite culturali, con lo scopo di riempire di azioni formative ed educative, quel vuoto esistenziale sospeso nella vita di esseri umani in fuga, perché i processi educativi sono proiezioni nel futuro, sono esperienze di speranza (un sentimento di cui si nutre l’umanità).

Leggendo con attenzione il Vademecum del Ministero dell’Interno per la presa in carico e l’accoglienza dei minori non accompagnati (ma analoghe sfumature possono e devono valere anche per i minori che arrivano nel nostro Paese insieme ai propri familiari), è possibile notare quanto appaia in qualche modo “evanescente” la sezione relativa ai percorsi educativi individualizzati, che rinviano a meccanismi di partecipazione basati in primo luogo su attività ludico-ricreative. L’apparente genericità del documento parrebbe tuttavia giustificata dall’enorme complessità di gestione dei molti altri aspetti (identificativi, normativi, sanitari, psicologici) relativi alle procedure attivabili nelle prime settimane di accoglienza, nel contesto delle quali le priorità sono forse altre, e di fronte alla non immediata prevedibilità dei tempi di permanenza all’interno di un centro di accoglienza. Precisiamo che queste attività formative non pretendono di sostituirsi a quello che è invece il processo di inserimento e integrazione scolastica. Ma cerchiamo di capirne meglio la logica. Cosa accade, e cosa potrebbe proporsi, in quell’intermezzo temporale (la cui durata è difficile da definire) tra l’approdo in Italia e l’inserimento nel sistema scolastico italiano?

Il Ministero dell’Istruzione dispone, in coerenza con lo spirito della L.47/2017, denominata “Legge Zampa”, l’inserimento nelle nostre scuole dei migranti, garantendo “l’accesso ai percorsi per l’obbligo scolastico e il diritto dovere di istruzione fino al diciottesimo anno d’età”. La legge Zampa reca “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”, dove si prevede, all’art. 14, comma 3, che le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado “attivano le misure per favorire l’assolvimento dell’obbligo scolastico, ai sensi dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n.142, e formativo da parte dei minori stranieri non accompagnati, anche attraverso la predisposizione di progetti specifici che prevedano, ove possibile, l’utilizzo o il coordinamento dei mediatori culturali, nonché di convenzioni volte a promuovere specifici programmi di apprendistato”.

Il Ministero da anni collabora a diverse iniziative dedicate ai “Minori Stranieri Non Accompagnati” (MSNA) e numerose scuole in questo contesto si sono impegnate a formare i propri docenti a uno stile didattico inclusivo volto sia a mettere in campo una razionale accoglienza nelle nostre scuole che a fare crescere la capacità dei docenti e degli studenti a pensare la centralità della persona umana nella ricchezza delle diversità. Molto spazio da colmare, a nostro parere, resta ancora per concretizzare la centralità dell’iniziativa didattica ordinaria e strutturale, non solo sperimentale e progettuale.

Potremmo ad esempio immaginare cosa potrebbe succedere se rovesciassimo il paradigma sottostante alle dinamiche di inclusione, come del resto abbiamo già fatto con la Scuola in ospedale. Se fossero gruppi flessibili e ben preparati di insegnanti pubblici a costituire delle unità di intervento capaci di lavorare al di fuori delle mura scolastiche e farsi carico dell’ideazione e implementazione di attività significanti dentro i luoghi dell’accoglienza? Se per attivare questa procedura, insieme a dei mediatori culturali, gli insegnanti italiani fossero messi in condizione di collaborare con insegnanti pakistani, nigeriani o ucraini, a loro volta in fuga dai propri paesi, nella composizione di un percorso d’accoglienza non solo psico-educativo, ma già istruttivo?

Occorre rendersi conto che un passaggio di questo genere implicherebbe un ripensamento globale del concetto di “scuola”, non limitato all’accoglienza dell’altro “entro il proprio sistema”, ma capace di trasformare il proprio sistema in una procedura d’accoglienza tout court (sarebbe così agevolato anche il successivo inserimento scolastico). Non si è ancora considerata la possibilità di identificare concettualmente e fattivamente l’accoglienza con un processo educativo e formativo, per tutte le età. Quanto sarebbe interessante, in Italia, l’elaborazione di un nuovo programma statale di organizzazioni articolate, per offrire permanentemente nei diversi luoghi d’approdo e permanenza temporanea azioni formative, capaci in primo luogo di raccogliere le conoscenze e le professionalità di chi arriva, per metterle subito a disposizione della collettività? Tra i migranti adulti, ci possono essere persone con alle spalle esperienze di studi universitari o anche di insegnamento… siamo in grado di valorizzarle in primo luogo per mettere subito in campo iniziative educative e formative come prima risposta all’assenza di speranza?

L’accoglienza non supporta solo chi è accolto, ma anche e soprattutto chi accoglie, restituendo forse alla collettività l’abitudine alla condivisione e al confronto, su cui si fondano tanto le pratiche della comunità scientifica quanto le relazioni nei contesti educativi. Oggi come ieri.

Giovanni Cogliandro e Carlo Scognamiglio