Home Attualità Invalsi: i danni più gravi dalla Dad al Sud

Invalsi: i danni più gravi dalla Dad al Sud

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I numeri resi dall’Invalsi non sono certo lusinghieri e in modo particolare quando, sintetizzando, fa sapere che 1 alunno su 2 ha terminato le scuole impreparato a causa della pandemia e soprattutto  dell’uso approssimativo della Dad. 

E poi sintetizzando ancora comunica che in molte regioni del Sud oltre la metà degli studenti delle superiori non raggiunge la soglia minima di competenze in Italiano: Campania e Calabria 64%, Puglia 59%, Sicilia 57%, Sardegna 53%, Abruzzo 50%. In Campania il 73% degli studenti è sotto il livello minimo di competenza in matematica, in Sicilia 70%, 69% Puglia.

Uguale differenza, seppure meno marcata, si rileva nella scuola primaria delle regioni meridionali in Italiano, in Inglese e ancora di più in Matematica attraverso cui si evidenzia che la scuola primaria nel Mezzogiorno fatica maggiormente a garantire uguali opportunità a tutti, con evidenti effetti negativi sui gradi scolastici successivi.

Anche sul versante della dispersione il rapporto Invalsi dichiara che la pandemia ha aggravato questo fenomeno e la percentuale della dispersione implicita ha raggiunto il 9,5% e in alcune ragioni del Mezzogiorno ha superato ampiamente valori a due cifre: Calabria 22,4%, Campania 20,1%, Sicilia 16,5%, Puglia 16,2%, Sardegna 15,2%, Basilicata 10,8%, Abruzzo 10,2%. 

Fenomeno particolarmente preoccupante poiché nelle stesse regioni anche il numero di coloro che hanno abbandonato la scuola prima del diploma è considerevolmente più alto della media nazionale.

Non abbiamo soluzioni per invertire questa tendenza ormai storicizzata nel nostro paese, perché le differenze tra Nord e Sud, anche a livello di istruzione, ci sono sempre state, come hanno rilevato anche le indagini Ocse Pisa a livello europeo. 

Non ne abbiamo perché non facciamo politica, ma delle riflessioni non possiamo fare a meno di esplicitarle, anche perché le carenze nel meridione riguardano non solo la scuola ma anche la sanità, il lavoro, l’emigrazione, il reddito pro capite, i servizi, le abitazioni, gli sprechi e così via, comprese le università che non sono riuscite mai a guadagnare posti di rilievo nelle statistiche internazionali. 

In altre parole non si riesce a capire, a 160 anni dall’Unità e a 75 della Repubblica, il motivo per il quale il Mezzogiorno d’Italia rimanga sempre un passo indietro rispetto al Nord. Sia sempre più taccagnoso, malandato, approssimativo perfino nell’istruzione che dovrebbe essere un’isola a parte se non fosse che tutte le carenze che nel Sud brillano non fanno altro che riflettersi perfino e anche nella scuola, nelle composizioni delle classi, nel lavoro dei docenti, nella diffusione della cultura e dei saperi. 

E non crediamo che il nuovo Ministro, seppure parli di affettuosità e di scuola affettuosa, riuscirà a colmare questo divario; e non ci riuscirà nemmeno ora che stanno arrivando queste fantomatiche risorse europee su cui i partiti si sono lanciati come mosche sul miele. 

Non ci riuscirà anche perché la burocrazia ministeriale non è in grado di fare un monitoraggio scientifico dei soldi impiegati e soprattutto dei risultati raggiunti, con dati e numeri,  intervenendo laddove i fondi sono serviti per tutto, tranne che per gli obiettivi didattici e formativi prefissati. 

Non abbiamo soluzioni per risollevare le sorti del mezzogiorno, perché non è questo il nostro lavoro. Ciò che possiamo però fare è osservare e descrivere. E come osservatori dobbiamo denunciare che già De Gasperi, all’inaugurazione della Fiera di Milano nel 1952 dichiarava al Corriere della Sera: “La rinascita del Mezzogiorno è condizione per lo sviluppo del Nord”: se lo sviluppo del Nord c’è stato, chi ha visto la rinascita del Mezzogiorno? Attendiamo ancora.