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Investire sulle zone educative prioritarie con il Recovery Fund

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Quando si investirà sulla scuola con il Recovery Fund  speriamo che si ricordino, oltre alla sicurezza degli edifici scolastici e alla loro sostenibilità ambientale (installando pannelli solari sui terrazzi),delle scuole situate in area a rischio di dispersione scolastica, di criminalità minorile e di devianza sociale.

Vanno create come in Francia le ZEP, zone educative prioritarie, e dare alle scuole situate in queste zone risorse in più, insegnanti e collaboratori scolastici aggiuntivi, derogare al numero massimo di alunni per classe consentendo la formazione di classi meno numerose.

Quando l’INVALSI rileva che in queste zone, gli alunni raggiungono competenze minori rispetto alla media regionale e nazionale, invece di dare la colpa ai dirigenti scolastici e agli insegnanti facendo severe valutazioni, queste  rilevazioni hanno la loro utilità se individuano dove investire di più.

E’ chiaro che ci si trova in zone svantaggiate a livello economico e culturale e quindi gli insegnanti e i dirigenti scolastici non possono fare miracoli, senza avere maggiori disponibilità finanziarie.

Per esempio dovrebbero essere pagati in più rispetto agli altri, sia perché hanno a che fare con alunni difficili e quindi le attività di insegnamento e di educazione sono più faticose, sia per assicurare una continuità didattica e direttiva a queste scuole.

E i dirigenti di queste scuole dovrebbero avere la possibilità di scegliere gli insegnanti non solo in base al curriculum, ma soprattutto in base alla loro capacità empatica che come dice Galimberti o ce l’hai per natura o non ce l’hai.

Per insegnare a questi ragazzi difficili, infatti, bisogna entrare in una relazione emotiva intima e non basta la competenza disciplinare.

Ma queste scuole hanno bisogno anche di risorse finanziarie aggiuntive per fare progetti che coinvolgano questi alunni difficili e far sì che amino la scuola, la frequentino  e non la disertino.

Queste azioni della scuola devono essere accompagnate sul territorio da sostegno reddituale alla famiglie povere e occorre legare l’elargizione del reddito alla frequenza scolastica dei loro figli.

Invece adesso che si fa per la dispersione scolastica e la povertà educativa? Si delegano alle associazioni educative (cominciando dagli assistenti sociali) gli interventi, senza un legame serio e progettuale con le scuole capofila e così si buttano soldi, senza avere risultati concreti. Ma la politica si solleva la coscienza pensando di aver fatto qualcosa.

Le associazioni educative possono avere un ruolo accompagnando questi ragazzi e ragazze difficili in attività sportive e ricreative. Ma al di fuori della scuola, non nella scuola dove chiedono ospitalità per mancanza di spazi e dove i ragazzi scalpitano. Questo richiede la possibilità di avere convenzioni con strutture sportive, teatrali, museali e musicali. E si dovrebbe offrire a questi ragazzi e ragazze anche la formazione e la possibilità futura di un lavoro, senza l’utopia di far andare tutti ai licei e all’università (qualcuno dotato ci potrà pure andare, superando gli svantaggi economici e  culturali), altrimenti cadranno preda delle attività criminali.

E’ così difficile fare tutto questo? Certo ci vogliono i soldi che mancano sempre. Ma adesso con  il Recovery Fund abbiamo un’opportunità unica per investire sui problemi della scuola italiana. Oltre a offrire un piano per l’infanzia (autorizzare nidi e  scuole dell’infanzia laddove mancano), occorre un piano per gli adolescenti e i giovani a rischio di diventare delinquenti a causa di mancanza di alternative credibili.

Eugenio Tipaldi