Home Ordinamento scolastico L’autovalutazione RAV secondo l’Adi

L’autovalutazione RAV secondo l’Adi

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In un anno le scuole hanno condotto una analisi dettagliata sulla base di 49 indicatori di ciò che fanno (Processo) e di ciò che producono (Esiti). Esiti degli scrutini e degli Esami di Stato, risultati delle prove Invalsi, informazioni sulla prosecuzione negli studi o nel mondo del lavoro degli studenti diplomati, caratteristiche del dirigente scolastico caratteristiche del corpo insegnante, informazioni dettagliate sull’organizzazione dell’ambiente, del curricolo e della progettazione didattica.

Alla data della dead line, secondo il MIUR, commenta il sito dell’Adi (Associazione docenti italiani) mancava all’appello solo il 5% delle scuole, il che è un buon risultato per chi sa che il senso dell’incalzare inesorabile del tempo non è una delle caratteristiche principali della antropologia scolastica.

Le analisi e le valutazioni sui vari indicatori dovevano avere come punto di partenza imprescindibile, soprattutto sui punti più delicati cioè quelli degli esiti, i dati forniti da presidi statistici esterni (MIUR, INVALSI, Banche dati universitarie, etc). Sarà probabilmente qui che si realizzeranno le attività degli Uffici Scolastici Regionali cui il Ministro ha affidato il compito di verificare” l’allineamento ai criteri di coerenza ed attendibilità attesi”. Cioè dai dati non si può prescindere. Speriamo.

Per parte di studenti e genitori le scuole hanno già dovuto darsi i voti utilizzando (con motivazione) una scala da 1 a 7 (1=situazione molto critica, 7=eccellente). Pare che come in quasi ogni indagine di gradimento si sia verificato un assestamento sulla medietas cioè sul 4. Un quadro più che sufficiente in particolare per gli Esiti che le scuole si sono attribuite in relazione ai risultati raggiunti dai ragazzi è 5,02, quello relativo alle Prove Invalsi 4,14, quello relativo alle competenze chiave e di cittadinanza 4,69, per i risultati a distanza (esiti post-diploma) è 5,29.

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Una chiave di lettura degli auto giudizi potrebbero essere gli obiettivi di miglioramento che ciascun istituto si è dato a seguito della propria autovalutazione. Per l’area Esiti, il 29,4% delle scuole ha individuato come obiettivo prioritario il miglioramento dei risultati scolastici degli studenti. Seguono il miglioramento dei risultati nelle prove Invalsi (27,8%), il miglioramento delle competenze chiave e di cittadinanza (27,4%), i risultati a distanza (15,4%). Le scuole del Sud dichiarano la volontà di migliorare in particolare i risultati nelle prove Invalsi( e meno male).

Risulta curiosa l’attenzione dedicata, anche per il miglioramento, ad un oggetto relativamente misterioso quali le “competenze chiave di cittadinanza”. Tanto misterioso che, neppure con tutta la migliore buona volontà, i patrocinatori del loro inserimento fra gli indicatori degli Esiti (fra gli indicatori delle esperienze di valutazione precedenti non c’erano) sembrano essere riusciti a trovare qualcosa di relativamente chiaro con cui definirle in qualche modo. Non che tali competenze non siano importanti, ma è difficile sottrarsi al dubbio che nel nostro Paese, produttore oltre che di Italian Style anche di fumo, nella vulgata questo abracadabra non serva spesso a sottrarsi ad una rendicontazione più stringente sul saper leggere scrivere e far di conto che, come è sempre stato noto al movimento operaio europeo, sono i necessari presupposti di ogni cittadinanza.

In ogni modo per fugare ogni dubbio sul fatto che si sia trattato di una mera operazione di “Ego te absolvo…” il Ministro ha dichiarato che ” Lo step successivo sarà quello della valutazione esterna, che partirà nel secondo quadrimestre sul 10% delle scuole” Forse non sarà tanto difficile scegliere dove mandare gli osservatori, visto che la non partecipazione causa sciopero (degli studenti?dei professori?) alla sessione di prove Invalsi del maggio 2015 sembra già un buon indicatore di criticità.

Ma la chicca di tutta questa vicenda è stata la pubblicizzazione dei risultati delle prove Invalsi. I cultori della materia ricorderanno il defatigante dibattito che si trascina da più di un decennio nel nostro Paese su questo punto e che qui non si può né si vuole rievocare. Punto di forza dei contrari – largamente prevalenti nel sopraddetto establishment- la convinzione che una tale pubblicizzazione provocherebbe una ghettizzazione sociale. Sono oramai quasi 10 anni che le scuole ricevono con tempestività crescente i loro risultati, ma poiché da quei sicofanti che sono le strumentazioni informatiche risultava che solo una bassa percentuale di dirigenti scolastici li scaricava (e forse stampava e forse diffondeva sempre peraltro solo all’interno della scuola) ci si poteva cominciare ad interrogare sulla utilità dell’investimento di soldi pubblici (peraltro pochi!) in questa impresa.

Forse per questo i decisori avevano comunque deciso che qualcosa dei risultati bisognava esporre, almeno in occasione della pubblicizzazione del RAV. Tuttavia – come peraltro preannunciato da una circolare ministeriale – la decisione era stata quella di affidare la decisione di cosa rendere pubblico alle scuole stesse: una concessione discutibile, ma comprensibile in un quadro di transizione. In particolare per le prove Invalsi sarebbe stata resa “ obbligatoria” la pubblicizzazione di soli due dati: il livello dei risultati delle scuola a confronto con altre 200 scuole di pari status economico sociale e la varianza interna cioè la differenza fra le classi. Superfluo spiegarne le ragioni.

Quand’ecco che appaiono RAV di scuole con tutti i risultati INVALSI che erano stati inviati alle scuole per l’analisi, esposti in bella vista, fino ad arrivare a mettere in piazza la differenza fra le classi. Subito un comunicato di fuoco della CGIL che grida alla fellonia MIUR-INVALSI.

Pare però che il problema, più banalmente ma incredibilmente, sia stato che, non avendo forse ben letto le istruzioni, alcuni dirigenti scolastici o coloro cui forse un po’ avventatamente avevano affidato il compito dell’invio definitivo, non abbiano “deflaggato” le voci che volevano tenere riservate e che potevano essere non solo quelle relative ai risultati Invalsi della scuola. Ah l’importanza della comprensione del testo!

Il punto dolente è però che le famiglie italiane non ne sanno niente. I giornali si sono ben guardati di darne notizia e ciò non stupisce, vista la quantità e la qualità della loro copertura di cose scolastiche. Pare che solo alcuni giornali locali si siano lanciati a fare graduatorie di scuole, il che ha naturalmente subito dato il destro agli alti lai dei No Rav locali. Non pare neanche che le scuole siano andate strombazzando questa grande novità; del resto l’impressione è che la pubblicizzazione sia stata comprensibilmente più subita che auspicata. Ma forse, più che dalle scuole stesse, dall’establishment sindacal–politico di affari scolastici che si dà una gran voce e la cui rottamazione sembra uno dei problemi principali all’ordine del giorno.

A quando una Pubblicità Progresso che con modi urbani –senza dare dello stupido a nessuno, come succede adesso per i poveri fumatori–inviti le famiglie a dare un’occhiata al RAV della scuola dei figli?