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La necessaria (o no?) valutazione degli studenti

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Come il fuoco sotto la cenere. Così rimane sempre, visibile o dissimulata, l’antica diatriba tra gli specialisti dell’educazione circa la validità della valutazione.

Non è cosa nuova.

I più innovativi (o solo scettici) non approvano l’utilizzo della valutazione, sotto qualunque forma (eccetto le ‘valutazioni narrative’). La loro critica è rivolta essenzialmente all’uso dei voti, specialmente quelli bassi, considerati umilianti e demotivanti per gli studenti. Tali pratiche rappresentano un retaggio del passato che continua a perpetuarsi, ostacolando la motivazione scolastica.

La pressione per ottenere voti elevati, alimentata anche dalla competizione tra compagni, porta spesso gli studenti a vivere stati di ansia e stress. Si crea così una situazione sia deleteria, in particolare per gli studenti più fragili che possono vedere la scuola più come una sfida competitiva che come un ambiente di crescita personale ed educativa. Ci si concentra sui voti, si arriva ad una gara insana tra i ragazzi e non ci si concentra sull’apprendimento e sullo sviluppo integrale della persona.

Più cauti (o conservatori) altri illustri studiosi del settore. Per costoro la valutazione è un’esigenza educativa imprescindibile e la sua eventuale eliminazione potrebbe depauperare l’impegno e la crescita personale degli studenti.

Rimanga, quindi, una valutazione numerica, anche bassa. Una vera crescita personale prevede, infatti, anche momenti di crisi, dubbi, sconfitte (‘brutti voti’). Proprio da queste si deve poi ripartire per imparare a reagire e a navigare nel mare insidioso della vita. Imparare ad affrontare e ‘rovesciare’ le sconfitte, controllare lo stress, dominare l’ansia è fondamentale, se non si vuole rischiare di essere sommersi dalle alte e insidiose onde dei problemi e delle sfide che, inevitabilmente siamo destinati ad affrontare (poche sono le possibilità di evitarle).

Questi solo alcuni degli argomenti messi in campo dai sostenitori di una o dell’altra tesi.

Persone di grande valore e sapienza, indubbiamente. Ma di quanta teoria e di quanta esperienza diretta (sul campo) sono sostanziate le loro affermazioni?

La mia lunga (e insignificante) esperienza in classe mi ha insegnato la necessità di assegnare valutazioni, anche basse. Per poi narrarle, spiegarle agli alunni e discuterne insieme, per scoprire, magari, un mio errore di valutazione.

Certo, sarebbe bello che tutti gli allievi del mondo avessero, naturalmente, un’ansia di sapere, cercassero dei maestri e chiedessero loro il ‘sapere’, lo pretendessero senza sosta né pausa alcuna e studiassero con impegno non per una valutazione positiva, ma per passione, per disinteressato amore verso la cultura, consapevoli dell’importanza della conoscenza per crescere in modo giusto corretto. Sarebbe bello se, invece di pericolosa rivalità, ci fosse un’onesta e sana competizione, mossa dal desiderio di cercare di emulare i più bravi, pur nella consapevolezza dei propri limiti. Sarebbe bello se un’atmosfera di aiuto reciproco (uno spirito di gruppo) animasse sempre gli alunni, affinché nessun rimanesse, da solo, indietro, ma tutti uniti procedessero verso un orizzonte di civiltà di pace (con non poca utopia).

La ‘verità effettuale’ , come direbbe Machiavelli, non sembra presentarci un tale idilliaco quadro. Forse qualcosa in questo senso, in qualche realtà scolastica, può anche avvenire, in generale, però, la situazione appare diversa.

E’ vero, se si registrano problemi nello studio di un allievo, la valutazione (ragionata) non scioglie ogni impedimento, se ben utilizzata, però, (con misura e sapienza) può almeno stimolare il discente negligente a fare di più, almeno per non essere bocciato, o può indurlo a prendere altri percorsi formativi a lui più congeniali. Non è molto, è vero, ma è già qualcosa. Eppure questo ‘qualcosa’ giustifica’ la presenza di una valutazione.

Possiamo forse inventare altre forme di valutazione, ma sarebbe un errore toglierla (Per sostituirla con cosa? Con la speranza?). Un voto negativo unito ad una chiara spiegazione servono ad indicare al discente dove e perché a sbagliato, come e di quanto può migliorare e, anche, come modificare e migliorare il suo metodo di studio. Un voto positivo incoraggia a continuare nella fatica dello studio e insegna che non tutti siamo uguali, pur avendo tutti gli stessi diritti.

Probabilmente il dibattito tra i favorevoli e contrari al tanto discusso voto proseguirà nel tempo, anche se, riflettendoci bene, nell’attuale scuola potrebbe essere quasi un esercizio retorico.

A risolvere il dramma del giudizio, o meglio di giudizi negativi, sono intervenute le ormai famose diagnosi mediche ‘pro alunni’.

Proprio così. Non sono in grado di dettagliarne le cause, ma il fenomeno dei disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) è in costante crescita nelle scuole italiane. I dati ufficiali ne mostrano un incremento del 500% in 11 anni, con una percentuale di studenti con Dsa che passa da 0,9% a 5,4% e bisogna mettere in conto che una tale crescita continuerà ancora per non poco tempo.

Ai D.S.A., poi, si aggiungono i B.E.S., i D.O.P. le sacrosante esigenze degli sportivi e, infine, le doverose richieste di chi, migrato per necessità da terre lontane, non conosce la lingua italiana.

Allora le classi si coprono e si ingarbugliano in una infinita sequela di piani educativi personalizzati da elaborare firmare e controfirmare (una faticosa attività burocratica). Piani educativi o piani di promozione, veri e propri scudi scolastici, strumenti apotropaici per mantenere lontano ogni maligna insufficienza ed evitare bocciature.

Se poi questo non bastasse esiste un’ultima possibilità, il ricorso al T.A.R. (generalmente comprensivo verso i ricorsi degli studenti).

Allora, continuando in questa direzione (estremizziamo il ragionamento), tra non molto tempo avrà poco senso parlare di valutazioni, di voti bassi e non ammissioni. Eventualmente ci fermeremo soltanto a discettare se apporre un otto o un nove sul registro. Se promuovere con un otto o un dieci. Tutto qui.

Ma i nostri allievi, il futuro, saranno pronti, un domani, a portare avanti, evitando naufragi, la barca della Stato? Avranno le competenze e il carattere necessari. Alcuni, molti certamente sì, ma gli altri?

Non resta che sperare.

Andrea Ceriani

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