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La profonda crisi delle relazioni sociali sfoga i suoi effetti sulla scuola

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In queste ore in tutta Italia si parla dell’ennesimo episodio di cronaca che riguarda la scuola: una insegnante di Alessandria, una persona descritta come esile e con difficoltà motorie, è stata legata ad una seggiola dagli allievi di una prima superiore, insultata, umiliata, presa a calci.

Si tratta di una vicenda molto triste, purtroppo l’ultima di una lunga serie. La profonda crisi delle relazioni sociali sfoga i suoi pesanti effetti anche sulla scuola, dove il ruolo dell’insegnante ha visto una progressiva ma inesorabile perdita di autorevolezza e di riconoscimento.

Lo scadimento del processo educativo nel nostro Paese si è tradotto nell’abbassamento della qualità dell’istruzione. Occorre ricordare infatti che l’insegnamento si fonda su una relazione, la relazione educativa; quest’ultima ha sempre poggiato su un assunto fondamentale: l’asimmetria dei ruoli dell’educatore e dell’educando, con il riconoscimento da parte di quest’ultimo dell’autorevolezza dell’educatore in ragione della sua esperienza, delle sue conoscenze e delle sue competenze.

Ogni autentico processo di apprendimento è strettamente legato ai processi affettivi che coadiuvano la crescita complessiva della persona. Concetti come «contenimento», «rispetto delle norme», «consapevolezza del limite», sono stati messi in crisi con i risultati che oggi notiamo. La stessa punizione che è stata comminata al gruppo dei bulli è rivelativa di una incapacità di attuare azioni correttive rispetto a comportamenti gravemente erronei.

E’ importante anche riflettere sul fatto che, di norma, al giorno d’oggi “funziona” solo quello che è scelto liberamente dagli individui, e lo stesso vale anche per i percorsi formativi: chi sceglie consapevolmente e liberamente il proprio percorso è di solito più disponibile ad accettare sia le difficoltà che gli ostacoli che gli si parano innanzi. Purtroppo nel nostro Paese il processo di formazione sembra più subito che scelto e la libertà educativa è un traguardo di cui si è ancora poco consapevoli.

L’aver impedito in Italia, la più grave eccezione in Europa, ai genitori di poter esercitare la propria responsabilità educativa, scegliendo liberamente l’istituzione formativa da loro desiderata, ha un costo sociale enorme. La conoscenza e il sapere, annientati dal piattume, hanno prodotto una cultura mediocre e violenta. E’ sotto lo sguardo di tutti il risultato della non conoscenza. Una cultura piatta, comune a tutti, ma che non lascia lo spazio al vero sapere e se quest’ultimo c’è, il cervello è destinato alla fuga..

Abbiamo iniziato con il distruggere la famiglia cellula fondante della società, abbiamo ucciso il padre, la madre, il figlio non ha bisogno dei genitori, la scuola è un ammortizzatore sociale, la politica ci rimanda ad autocandidature che non hanno il coraggio della gavetta e della conoscenza, le organizzazione complesse la vita religiosa, la scuola non ne sono esenti. Un fenomeno sociale questo che definisco la logica risultanza di una responsabilità non agita in libertà.

Nella sterile contrapposizione all’interno del Servizio Nazionale di Istruzione, tra scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria – tema poco citato dai partiti in campagna elettorale, nello stile del “chi tocca muore” – si lede il più naturale dei diritti: la libertà di scelta educativa dei genitori. Argomento tabù. Ad oggi, ben poco (il “poco” è la dote scuola concessa da una/due regioni virtuose: l’eccezione conferma la regola del nulla di fatto) è stato attivato a favore del sacrosanto diritto al pluralismo educativo che perde pezzi ogni giorno sotto la morsa dell’irresponsabilità e che resta l’unico gancio che può salvare dalla scelta obbligata in educazione, tipica dei peggiori regimi totalitari. Al sibilo di tagliare i fondi alle scuole pubbliche paritarie tranne che a quella dell’infanzia, non corrisponde il barlume di consapevolezza che cosi il welfare italiano collasserebbe. Non può essere solo ignoranza; è lampante malafede….

Nemmeno la Legge 62 del 2000, che porta il nome evocativo dell’unico ministro che avrebbe potuto permettersi di emanarla, Luigi Berlinguer, è riuscita a risolvere la questione della parità scolastica, della pari dignità tra le istituzioni scolastiche pubbliche, paritarie e statali. Nonostante dal 2000 sia stato messo nero su bianco che il Sistema Nazionale di Istruzione è composto dalle scuole pubbliche, statali e paritarie, ancora oggi non è comunemente passato il concetto che l’offerta formativa, unica e conforme agli stessi ordinamenti generali, può essere erogata o da istituzioni statali o da istituzioni paritarie, a garanzia del pluralismo formativo e della libertà di scelta educativa sanciti dalla Costituzione. Ignoranza o ideologia? Entrambe. Non è comunemente considerato che negare la libertà di scelta educativa significa affermare una scuola di regime, che riduce il diritto costituzionale all’istruzione all’obbligo di riceverla solo da scuole statali. Da queste premesse, la sbandierata rinascita dell’Italia è oggettivamente impossibile.

Da qui, l’elogio dell’ipocrisia: si desidera, per comodità familiare o per stima del corpo docente, la scuola pubblica paritaria? La famiglia a Isee pari a zero può solo desiderarla;  tutte le altre devono pagare oltre al dovuto della fiscalità generale. “A prescindere”, direbbe il Principe della risata, tragica in questo caso.

Insomma, non ci può essere libertà di scelta educativa se non viene garantita la libertà economica per il suo esercizio. Per questo, l’unico modo per rispettare fedelmente il dettato costituzionale del diritto all’istruzione e del diritto alla libertà di scelta educativa è quello di riconoscere una dote a ciascuno studente, pari ad un costo standard di sostenibilità ossia all’ammontare minimo di risorse da riconoscere a ciascuna scuola pubblica – statale e paritaria – sulla base di parametri certi.

In sostanza, le risorse disponibili per il sistema di istruzione e formazione dovrebbero essere destinate alle famiglie, per finanziare l’istituzione scolastica pubblica, statale o paritaria, da loro prescelta per l’istruzione dei figli. Ciascuna istituzione scolastica pubblica, statale e paritaria, riceverebbe tante più risorse quanti più studenti riuscirebbe ad attrarre anche per il proprio valore, generando una virtuosa concorrenza a vantaggio dell’intero sistema educativo. Scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie sarebbero incentivate a migliorare l’offerta formativa, a garantire la migliore integrazione con il sistema della formazione universitaria e con il mondo del lavoro, ad erogare efficaci servizi di orientamento e placement, per mantenere le risorse assegnate sulla base delle scelte di famiglie e studenti.

In uno Stato effettivamente liberale, solo attraverso il costo standard di sostenibilità si può garantire anche ai meno abbienti la vera libertà di scelta educativa, data una varietà e pluralità di scelta formativa, che oggi si sta pericolosamente assottigliando. Scuole pubbliche paritarie e pubbliche statali, ben funzionanti, con docenti seri e attenzione a tutte le condizioni degli alunni, non guasterebbero in Italia, soprattutto nelle Regioni  più svantaggiate e caratterizzate dal recente ed evidente ciclone politico. Ci si chiede come si possa parlare di rinascita dell’economia e del contesto sociale senza parlare di scuola pubblica  liberamente scelta.

Il finanziamento delle scuole pubbliche statali ammonta a circa 49 miliardi per poco più di 7 milioni di studenti rispetto ai quasi 500 milioni delle scuole pubbliche paritarie per circa un milione di studenti. Con una semplice divisione, è quasi immediato rilevare che il costo medio di ogni studente della scuola pubblica statale è pari a circa 6,5 mila euro l’anno, mentre quello delle pubbliche paritarie arriva a meno di 500 euro.

Con il costo standard definito come sopra, la spesa aggiuntiva per ogni alunno, di ogni scuola pubblica, statale e paritaria, sarebbe pari a zero.  Questo immaginando che non vi sia alcuna forma di compartecipazione, neanche da parte delle famiglie con Isee ad almeno cinque zeri. Se invece tale contribuzione fosse prevista, la spesa totale dello Stato diminuirebbe decisamente, scongiurando la prevedibile débacle economica dell’istruzione pubblica statale. In sostanza: se anche non si volesse rendere più efficiente il sistema educativo italiano, garantendo il diritto di scegliere la scuola, se anche tutto ciò non interessasse al governo venturo (forse fiducioso nei miracoli), il solo movente economico del mancato tracollo e del risparmio assicurato avrà la forza di acculturare gli ignoranti e far rinsavire gli ideologici. Pecunia non olet, anche per lo Stato.