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La scuola in cambiamento

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"La scuola è entrata nel borsino delle tesi di laurea, che normalmente seguono il mercato delle cose importanti" ha esordito così Giuseppe De Rita Presidente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro – CNEL – aprendo il Convegno "La scuola in cambiamento" il 3 aprile nella aula del Parlamentino del CNEL. "In questo momento – ha continuato – alla chiusura di un lungo ciclo (1859-2000) la scuola ha bisogno di due cose importanti di essere ascoltata e di essere accompagnata verso altri lidi. Sono state avviate importanti riforme come la parità scolastica, l’autonomia, l’innalzamento dell’obbligo scolastico, la riforma dei cicli, il nuovo esame di stato, ora è il momento di far partire la macchina. La complessità della nostra società richiede una molteplicità di sedi e di criteri formativi e il primo passo è ascoltare il mondo della scuola: insegnanti, studenti e soprattutto le famiglie".
Secondo De Rita il 50% dei giovani oltre i 15 anni del Nord-Est del nostro paese, contrariamente ai giovani del sud, sono più orientati a investire nel mondo del lavoro e non nella scuola. "Esiste – ha detto – un reale problema di ascolto, per risolvere il quale è fondamentale monitorare continuamente il corpo insegnante, che sta cambiando e ricalibrando il suo ruolo rispetto ai cambiamenti in atto in piena consapevolezza". L’incontro è stato l’occasione per presentare tre ricerche autonome, del Censis, dell’Istat e dell’Ispo. Il monitoraggio effettuato dal Censis, una sorta di forum telematico "Professione docente. Come valorizzarla?" del Ministero della Pubblica Istruzione, ha avuto 6000 utenti ed ha raccolto 950 risposte da parte dei docenti, di queste il 30% sono critiche, il 60% proposte e il 10% apprezzamenti. La percentuale delle proposte è salita all’85%, dopo che il ministero ha cominciato a rispondere via e-mail ai professori. Dalle proposte fatte emerge che il problema valutazione è un problema aperto, ancora tutto da affrontare. Secondo Maurizio Sorcioni, Responsabile dell’area innovazione e valutazione delle politiche pubbliche del Censis, gli insegnanti accettano di farsi valutare, ma non intendono rispondere a quiz o farsi esaminare da commissioni ministeriali. Dalle loro proposte emerge che sono cinque i parametri di valutazione accettabili: il tempo che hanno dedicato all’insegnamento e attività scolastiche varie; la verifica del lavoro svolto che dovrebbe, dicono i docenti, essere affidata al preside o a commissioni nominate dal Consiglio d’Istituto; il curriculum professionale contenente l’iter formativo, master, corsi di aggiornamento e conoscenze informatiche e linguistiche; l’anzianità di servizio (compreso il periodo delle supplenze) ed infine, proposta molto innovativa il parere dei diretti interessati , le famiglie e gli studenti.
Sempre a cura del Censis è l’indagine su un campione di 1200 insegnanti, dalla quale emerge, purtroppo, che solo una minoranza dei docenti partecipa attivamente ai processi di cambiamento. L’indagine prosegue sul terreno informatico dove risulta che l’86,3% degli insegnanti non utilizza internet. Mentre alle elementari viene usato dal 6,4%, alle medie dal 10,1% e alle superiori dal 19,2%. L’universo docenti si riscatta in materia di aggiornamento: l’84,1% ha interesse alla formazione continua, contro un 15,9% che per motivi diversi non partecipa a corsi di aggiornamento.
Sul fronte del consenso dell’opinione pubblica, dalle indagini condotte da diversi istituti, emerge che, in generale, la maggioranza degli italiani è favorevole alle riforme attivate dal governo nel sistema scuola e, cosa molto confortante, queste raccolgono anche il consenso della politica che sta all’opposizione, in quanto rispondono a esigenze reali.
Secondo l’indagine dell’Ispo (Istituto per gli Studi sulla pubblica Opinione) effettuata su un campione di 5.561 persone in età di voto, rispetto alla conoscenza delle principali novità introdotte dalla riforma nel sistema scolastico: il 75,9% degli italiani si divide tra chi dice di non esserne a conoscenza (29,9%) e chi afferma di averne solo sentito parlare (46%). Il 18,3% dice di conoscerle abbastanza bene e solo il 5,8% di conoscerle bene. Rispetto alla parità tra scuole statali e non statali, la preferenza per la scuola statale è schiacciante: il 69,3% del campione è nettamente favorevole alla scuola statale, di questi 17,8% vuole che la scuola sia solo statale, mentre il 51,5% accetta che la scuola possa essere anche privata, purché questa sia a totale carico di chi la sceglie. A favore della scuola privata si è espresso solo il 18,6%.
L’altro sondaggio è stato fatto dall’ISTAT, che ha raccolto il parere di un campione di 24 mila italiani tra i 15 e i 64 anni. In realtà si tratta di due indagini fatte in momenti diversi, una nel novembre scorso e l’altra a febbraio: entrambe, seppure con diverso peso numerico, rilevano una conoscenza piuttosto diffusa tra i cittadini dei processi di cambiamento nella scuola italiana; la conoscenza è molto alta anche tra chi non ha rapporti diretti con il mondo scolastico. Esprimono un giudizio "molto positivo" o "positivo" sulla riforma dell’esame di stato il 70,5% di cittadini, il 77,2% dei docenti, il 64% dei genitori, il 51,3% degli studenti, per un totale del 68,3%. L’elevamento dell’obbligo è giudicato molto positivo per il 79,6% del campione, mentre più del 90% si esprime favorevolmente sulla diffusione dell’informatica nella scuola. Anche il riordino dei cicli, e quindi l’accesso anticipato di un anno all’Università, trova d’accordo il 57,7% degli italiani intervistati. L’autonomia scolastica, che entrerà a pieno regime a settembre, raccoglie un consenso (in tutte e due i sondaggi) superiore al 60% e supera il 70% tra i laureati, i diplomati e i lavoratori dipendenti.
Il Ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer, alla luce dei dati presentati e alla fattiva partecipazione dei docenti al forum telematico non ha potuto far altro che esprimere la sua soddisfazione ed ha spezzato una lancia in favore della questione retributiva degli insegnanti, "mai presa in esame per decenni". "Il problema delle retribuzioni basse – ha continuato – si può risolvere adottando nuovi criteri di valorizzazione professionale che sono alla base del cambiamento della scuola. Quando la gente si sarà convinta che investire nella scuola è utile, solo allora la riforma avrà fatto un passo avanti decisivo".