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La storia della cartiera sul fiume e l’agognato “Sicyland”: libro inchiesta del giornalista Vecchio Ruggeri

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Nei pressi di marina di Cottone, accanto al Fiumefreddo, si è consumato un delitto industriale di notevole proporzione, nell’indifferenza colpevole della Regione e di una politica adusa a fagocitare il lardo lasciando l’osso agli isolani. Quello da rodere, perché le demagogie, i travisamenti, le fughe per dribblare gli impegni e le promesse elettorali hanno raggiunto livelli di perfezione così sottili e subdole che, pur essendo la cosiddetta “Questione meridionale” più antica del cucco, non si è riusciti, nemmeno con l’avvento del terzo millennio, a risolverla. E proprio lì, sulla riviera dei Ciclopi, dove il Fiumefreddo sfocia, dando il nome a un piccolo comune, e dove anche il furbacchione Ulisse portò le sue navi, si voleva creare una cartiera, all’inizio del boom economico, considerato che tutta quella zona è ricca d’acque e di collegamenti, di porti e ferrovie, mentre moleste sirene cantavano lavoro e ricchezze agli abitanti.

Tuttavia, dopo una serie di sotterranee vicende tra politica e affari, il 4 marzo 1964 la cartiera Siace venne inaugurata per co-finanziamento del mitico, ma non tanto furbacchione, Michele Sindona che per la bisogna utilizzò 43 ettari di terreno vocato all’agricoltura di qualità.

Dall’ennese intanto arrivano gli eucalipti, impiantati all’uopo.

Il miracolo del lavoro sembrava avverato, se non fosse che, dopo 5 anni, Sindona tenta il colpaccio del banchiere, ma così maldestro che, sventato dai sindacati, gli si ritorce contro, favorendo così l’acquisizione della fabbrica alla società pubblica Espi, che la conduce, fra alti e bassi, fino al 9 febbraio 1986 quando chiude definitivamente. Da qui in poi inizia però un’altra storia, fra mangiatori di loto e Lestrigoni, fra proci e usurpatori di sogni dei sindaci del luogo, nel momento in cui l’Itaca leggendaria della riconversione industriale prende quota per trasformare l’obsoleto e pericoloso impianto, fra l’Etna e Taormina, fra la neve e il mare, in una sorta di “Gardaland” della Sicilia, un parco tematico avveniristico: quale posto migliore, si dice in coro.

Presidente della Provincia regionale di Catania l’on Nello Musumeci, sindaca del comune la scrittrice Marinella Fiume: una combinazione perfetta, si direbbe, ma ancora oggidì in quel sito, al forestiero che volesse bagnarsi nel mare di Ulisse apparirà uno scenario di abbandono e degrado, mentre altre storie ancora più moleste, tra incendi e sequestri montano e si avviluppano, lasciando l’Itaca sempre di più indifesa, lontana e degradata. 

A narrare questa singolare storia, fatta di promesse e inganni, di miraggi e trabocchetti, compresi i cannibalismi, il giornalista Angelo Vecchio Ruggeri col suo libro-inchiesta, “La cartiera Siace. Storia di un caso di cannibalismo industriale siciliano”, Armando Siciliano Editore, 14,00 €. 

Prefato proprio dalla scrittrice e sindaca del tempo, Marinella Fiume, che racconta l’agognato progetto di trasformare la cartiera in parco a tema, la “Sicyland”, con i relativi grotteschi e talvolta persino bizzarri risvolti, il saggio-inchiesta di Vecchio Ruggeri spazia pure dentro la storia politica della Regione e soprattutto di quella terra pedemontana e rivierasca, con le sue speranze e le sue attese.

Un modo per introdurre il lettore nell’argomento ma anche utile per capire un territorio un tempo straordinario, dimora di miti e di laboriosità, di intelligenza e commerci che però politiche dissennate, interessi personali e collusioni hanno lentamente deteriorato.