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La vita insegna: libro autobiografico di Lucia Azzolina e per spazzare troppe menzogne

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Una biografia scritta con la compostezza di una donna che, essendo stata ferita, non vuole fare altrettanto e allora racconta le sue vicissitudini con la semplicità di chi è stata educata non allo schiamazzo, ma alla discussione pacata, serena. Eppure da strillare ne ha ben donde, a cominciare dal colore di quel rossetto contro cui una certa stampa e un affollatissimo stanzone di vandali del web, compresa qualche voce dalle aule parlamentari, ha trovato l’occasione per insulti volgari e sessisti, e senza ricevere nemmeno la solidarietà unanime del mondo femminile. Ma Lucia Azzolina, già ministra della Istruzione con il governo Conte bis, ha percorso la sua strada senza smarrirsi (da un anno e mezzo ha una scorta per le continue minacce anche di morte), cercando di fare il suo dovere, come abbiamo constatato, e lasciando che alla fine la realtà comparisse. 

E non già perché è raccontata da lei, ma perché si trova nell’oggettività del suo breve mandato e ciò che ha costruito al ministero non aveva altra strada, considerate le condizioni. 

Trovarsi infatti a pochi mesi dalla nomina con una pandemia che ha fatto chiudere tutto in Italia non è mai capitato a nessuno altro ministro, né tantomeno avere all’opposizione, ma anche all’interno della sua compagine di governo, politici che l’hanno accusata di tutto, non solo facendo demagogia, ma spesso inventandosi fatti mai accaduti, secondo una logica che a smentire c’è sempre tempo, come i banchi a rotelle, di cui dettaglia le vicissitudini, o come la promozione per tutti o come la Dad manipolata o come i concorsi per docenti, evitando la brutta piaga delle sanatorie che, come le ciliegie, l’una tira l’altra a scapito degli alunni, degli insegnanti e della scuola stessa.  

Perché il punto centrale di questo libro, “La vita insegna. Dalla Sicilia al ministero, il viaggio di una donna che alla scuola deve tutto”, con prefazione di Liliana Segre, Baldini & Castoldi (17,00 Euro), a parte la scuola, tenuta sempre nel cuore, è proprio la sua semplice ma leale scalata al palazzo della Minerva. Un incarico ottenuto solo per competenza, lei emigrata al Nord per stare nelle aule scolastiche, non già per compromessi politici. 

Ma non solo. Si viene pure a sapere che fra gli arcieri, quando propose la soppressione delle classi pollaio, con la messa in sicurezza di nuove aule, c’è stato pure l’attuale ministro Bianchi che però ora, su quella stessa poltrona, sembra avere tutto dimenticato.

Come gli attacchi gratuiti della presidente del Senato Elisabetta Casellati e quelli della destra di Meloni e Salvini a cui si deve, negli anni del loro governo con Mariastella Gelmini, il taglio netto di 8miliardi di euro alla Istruzione e le soppressioni di ore, insegnamenti e personale. 

Oggi tuttavia le parole più ricorrenti nel libro di Azzolina sono: “la scuola deve essere un ascensore sociale“ e “lo studente sempre al centro”, che a quel tempo erano sostituite da “docenti fannulloni” e “la scuola non è un ufficio di collocamento”, mentre fu proprio con Letizia Moratti che gli esami di stato raggiunsero il punto più basso, come dimentica  troppo facilmente la destra nella foga della battaglia propagandistica. 

Ma Azzolina se la prende pure coi sindacati, più propensi alla difesa dell’esistente che a progettare il futuro, con certo snobismo di avere difronte una donna certamente preparata, ma ancora troppo giovane, troppo bella e perfino con un accento meridionale che comunque non depone mai bene e soprattutto se si è donna. 

Scritto con prosa scorrevole, pur nella complessità dei temi, nel libro fluiscono pure le immagini della sua infanzia a Siracusa, il rapporto privilegiato con la sorella, i sacrifici dei genitori per mantenerla agli studi, l’emigrazione forzata per il lavoro, e pure il primo amore. 

Libro da leggere, e non già solo per conoscere meglio una bella personalità, ma pure per entrare nei meandri di un ministero con dozzine di inghippi e farraginosità, fra le cui sale scorrono pure le prerogative delle Regioni, e nelle spelonche di una politica vociata, più legata al potere che a risolvere i problemi della gente, scuola compresa.