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Lettere dalla quarantena

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Anche oggi, più volte, nel pomeriggio, la sensazione quasi soffocante di claustrofobia l’ho avvertita volteggiante, ad una certa altezza, nella stanza ingombra di mobili, sedie, poltroncine, ninnoli, dischi, CD, DVD, quadri; l’ho percepita sui molti libri, disposti sugli scaffali color noce delle due librerie situate lungo le due pareti più lunghe del rettangolo, l’una opposta all’altra; e sui mobili e sugli oggetti che mi circondano, così come sul pavimento ormai vetusto, essa (la claustrofobia) si posa stanca, esausta, accentuando la spossatezza corporea che, dopo ore e ore trascorse, seduto al tavolo con lo sguardo fisso sullo schermo del PC, diventa insopportabile, sì da costringermi ad alzarmi e affacciarmi sul balcone, posando la vista tremolante sulle aiuole del cortile condominiale, sui passanti che tornano a casa con le borse gonfie e pesanti per la spesa appena fatta nel vicino supermarket, sui pochi bambini che, sotto l’attenta vigilanza materna o paterna, giocano a rincorrersi lungo i vialetti.

E tuttavia, pensando al prigionieri della caverna platonica oppure allo strano letargico animale che si aggira nei meandri della tana kafkiana, non mi sembra affatto di vivere oppresso da una soffocante, oscura, minacciosa, e sospesa atmosfera di attesa dell’incombente irruzione di un nemico invisibile, ma del quale è palpabile la diffusa presenza nel mondo che si estende “al di fuori” della mia personale caverna.

Quest’ultima, in fondo, appare quale effettivamente è: accogliente, calda, premurosa, abbastanza spaziosa, sicuramente e gradevolmente silenziosa, ricolma di oggetti ai quali sono legati esperienze di vita, di crescita, di formazione culturale e spirituale, di ricordi di persone care che non sono più o che sono altrove.

Anche quella odierna non si distingue affatto dalle giornate che si susseguono, ormai da un mese e mezzo, da quando il Governo ha decretato, il 9 marzo scorso, il restate-tutti-a-casa: sono giornate tranquille, scandite dai quotidiani impegni dell’insegnamento a distanza (la mattina, generalmente in due tappe, corrispondenti alle due classi numerose di alunni che mi sono state assegnate, per continuità didattica, all’inizio del corrente anno scolastico); dalla sosta per il pranzo e, nel primo pomeriggio, dalla preparazione delle video-lezioni per l’indomani, dalla ricerca di filmati che abbiano una validità didattica (ce ne sono moltissimi, soprattutto provenienti da programmi targati rai-cultura o rai-storia) e che siano attinenti agli argomenti di volta in volta affrontati;  dalla stesura in files formato word di brevi sintesi degli stessi argomenti e dalle consuete personali letture e/o scritture alle quali, in maniera ordinata e metodica, con intensità e produttività mi dedico dall’inizio dell’isolamento nella comoda “caverna”.

Inoltre, il mio scrupoloso e disciplinato affaccendarmi in queste quotidiane abitudinarie attività, è accompagnato dalla note e dai suoni provenienti dal lettore CD, dalle care melodie dei miei autori (sono tantissimi) preferiti: da Bach a Mozart, da Beethoven a Brahms, da Mahler a Berg, da Chopin a Schubert a Schumann; e poi vi sono le romanze dalle opere di Verdi, di Rossini, di Puccini, dell’amato/odiato Wagner; e infine i russi (Chajkowskji, Rimsckji-Korsakov, Borodin, Rachmanninov, Schostakovich, Prokoviev, Strawinskji), che in questi giorni di clausura la fanno da incontrastati padroni, sebbene non saprei spiegarne il motivo.

Conciliare la lettura di un libro con l’ascolto di un brano musicale  è quanto di meglio chiunque (chiunque?) si potrebbe aspettare dalla vita, almeno quella domestica.

I libri che, dall’inizio della quarantena, ho ripreso in mano per rileggerli, totalmente o in parte, sono, in una certa misura, riferibili all’imprevisto momento storico che il mondo intero sta attraversando: Morte a Venezia di Mann, La peste di Camus, I promessi sposi (limitatamente al capitolo XXXII) di Manzoni, La linea d’ombra di Conrad, Orlando di Virginia Woolf, L’amore ai tempi del colera di Marquez; e poi la saggistica storica e filosofica: da Il secolo breve di Hobsbawm fino a Il principio responsabilità di Hans Jonas. In questo momento sono alle prese con Dalla peste nera (ma guarda un po’!) alla guerra dei Trent’anni di Adriano Prosperi.

Questa giornata è stata aperta, prima delle otto, dall’invio, tramite mail, del breve brano musicale quotidiano (a mo’ di buongiorno mattutino) ai miei alunni; per oggi ho scelto un brano da loro ben conosciuto, il Canone di Pachelbel. Non so se è stato da tutti apprezzato, ma non importa: ciò che mi preme è che, nonostante sentano molto l’assenza fisica della scuola (l’edificio, i corridoi, le aule, il giardino, il tanto amato bar interno) e il loro reciproco isolamento, sappiano che la scuola non si manifesta soltanto con la somministrazione delle pur importanti video-lezioni e le interrogazioni e le valutazioni, ma anche con gesti apparentemente inutili ma garbati, destinati al loro gusto estetico, funzionali ad una formazione culturale la più varia e complessa. Dopo circa un’ora, ci siamo collegati sulla piattaforma scelta dalla scuola per la didattica a distanza, per la programmata lezione di storia dedicata ai problemi dell’Italia dopo l’Unità (brigantaggio e questione romana); alcuni alunni mi hanno  posto domande relative ai compiti e alle relazioni che essi mi inviano, quasi quotidianamente, e che io mi incarico di correggere suggerendo aggiunte, modifiche, ricerche di nuove fonti, ecc.

Si tratta di un lavoro impegnativo, lo riconosco, ma penso che soltanto in questo modo sia possibile, per loro, affrontare un compito che richiede spirito di ricerca e disponibilità all’approfondimento e, per me, l’applicazione di un metodo didattico che non si risolva nella semplice trasmissione di nozioni, ma che coinvolga e stimoli le capacità d’indagine e critiche degli alunni.

Dopo la lezione con gli studenti del quarto anno (sono ben 29), una sosta di circa due ore, utilizzata per correggere e suggerire modifiche alle relazioni ricevute il giorno precedente tanto da ragazzi di quarta quanto dai maturandi (sono 27) del quinto anno.

Con questi ultimi termino la mattinata, dividendo la video-lezione in due tappe: la prima dedicata al pensiero di S. Freud (argomenti di oggi: il significato della psicanalisi e l’interpretazione dei sogni), la seconda alla storia dell’immediato dopoguerra (la guerra fredda in Italia e in Europa dal 1945 al 1949, le elezioni del 18 aprile 1948 in Italia, il Piano Marshall, la divisione della Germania e la successiva nascita dei due stati tedeschi nel 1949). Anche gli alunni del quinto anno sollevano questioni relative ai loro compiti ed elaborati ma, ciò che loro preme di più, è sapere qualcosa di certo relativamente alla struttura e alle modalità dell’esame di maturità, modificato e adattato dal Ministero alla situazione emergenziale che stiamo vivendo.

L’unica cosa certa, al momento, è che la commissione sarà formata da sei commissari interni e dal Presidente esterno. Anche su chi saranno i commissari interni vi sono margini d’incertezza: scontata la presenza delle professoresse d’italiano, greco e latino e d’inglese, chi saranno gli altri tre? I ragazzi esprimono, a questo proposito, timori e auspici sui quali non mi sembra il caso di soffermarmi, altrimenti, lo so bene, si scadrebbe nel gossip.

Preferisco quindi soprassedere e rassicurarli che, comunque, in ogni caso, tutto andrà bene. Una frase, questa, diventata un mantra fin dall’inizio della pandemia.

Se, in questa emergenza sanitaria, gli ospedali e il loro eroico personale rappresentano l’avanguardia, la prima linea del fronte (è bene che nessuno se ne dimentichi), la scuola svolge un’importante funzione di indispensabile retroguardia, il moderno “fronte interno”, quello al quale è affidato il compito di incoraggiare, di rafforzare, di far intravvedere alle giovani generazioni la luce in fondo al tunnel e la possibilità che, dopo, quando tutto sarà finito, quando si tratterà di ricostruire, ci si impegni, tutti insieme e i giovani per primi, in uno sforzo comune e duraturo per l’edificazione di un mondo diverso e migliore, un mondo che rimetta al centro la persona con le sue fragilità e i suoi bisogni, e che dia meno spazio al dio mercato e ai santuari della finanza internazionale.

Termino così, con queste ecumeniche riflessioni, la mia “tranquilla” giornata all’interno della mia “tana” domestica.

 

Francesco Sirleto