Home I lettori ci scrivono L’inadeguatezza della scuola nel combattere la dispersione scolastica

L’inadeguatezza della scuola nel combattere la dispersione scolastica

CONDIVIDI

Ho appena letto la lettera del Dirigente Dott. Eugenio Tipaldi di Napoli, con la quale sottolinea l’inadeguatezza della Scuola nel combattere la dispersione scolastica.

Spesso mi chiedo come si possa operare serenamente e con profitto in certe zone del nostro paese. Io mi ritengo molto fortunato ad insegnare in una scuola di Ferrara, dove sicuramente non abbiamo (per ora) i problemi evidenziati dal Dott. Tipaldi e penso che il lavoro di quei docenti, dirigenti e personale ATA abbia, senza esagerare, un profilo quasi eroico.

Purtroppo mi trovo d’accordocol Dott. Tipaldi anche quando afferma che “coloro che stanno in alto e che vedono la scuola da lontano” non si rendono nemmeno conto delle difficoltà nelle quali si trovano ad operare oggi molte scuole italiane e che colpevolmente non sappiano discernere fra le istanze “modaiole” e ingiustificabili da parte di molte famiglie e i veri bisogni dei nostri bambini e ragazzi.

Quando il dirigente di Napoli afferma che alla scuola viene chiesto di rimanere aperta 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno dice il vero: la scuola italiana in questi ultimi decenni si è andata gradualmente trasformando in una azienda che spesso viene usata solo come un parcheggio per i figli da parte delle famiglie. Questo cozza inesorabilmente col fine che ha sempre avuto, cioè quello di formare innanzitutto dei cittadini consapevoli, rispettosi della legalità e della dignità del prossimo e ciò può avvenire esclusivamente tramite la cultura filtrata dal pensiero critico che oggi soltanto la scuola riesce ancora dare. Con molta fatica e remando contro corrente.

Da tempo vado affermando che il grosso problema della nostra scuola non è l’istruzione in sé, ma l’educazione al rispetto delle regole della convivenza civile quotidiana; il rispetto verso la dignità del prossimo, soprattutto verso i più deboli e fragili; l’allenamento continuo della mente al pensiero critico per sapersi orientare in una società complessa e spesso priva di valori umani condivisi.

Se viene chiesto alla scuola di offrire più servizi di supporto alle famiglie, questo significa che le famiglie non sono più in grado di dare ai figli ciò che hanno sempre cercato di dare in passato, cioè la solidità della dirittura morale, dell’affetto, del dialogo, della comprensione e del rispetto verso la dignità altrui. La prima educazione avviene in famiglia e quando questa abdica a questo compito primario a favore di enti esterni ad essa, perde la sua autorevolezza e così i ragazzi cercano altri modelli educativi spesso dannosi, altri affetti, altro dialogo, altro calore umano. Tutto sintetizzato artificialmente (e dannosamente) in un social network.

Coloro che erano genitori negli anni 50-60 spesso avevano solo la licenza elementare, molto raramente un diploma o una laurea, eppure i figli studiavano senza bisogno di un continuo aiuto o sorveglianza. Perché oggi i genitori devono fare i compiti al posto dei figli?

Il dirigente Tipaldi conclude la sua lettera dicendo: “Per i ragazzi servirebbe una scuola che li orientasse anche ad un mestiere, a una professione”. Ora mi chiedo: perchè la Scuola dell’Obbligo, nella sua funzione di orientamento verso gli studi superiori, evita accuratamente di indicare l’avviamento ad una professione artigianale o anche ad un semplice lavoro manuale? Perché la maggior parte dei genitori, nonostante i consigli ben meditati della Scuola Secondaria Inferiore, scelgono spesso di iscrivere i loro figli ai licei? E’ così degradante intraprendere la professione di idraulico, elettricista, falegname, meccanico, sarto, agricoltore, ecc.? Questo non significa assolutamente smettere di studiare; acquisire un solido bagaglio culturale serve per qualsiasi lavoro, ma apprendere un lavoro artigianale richiede molto tempo, dedizione e soprattutto bisogna cominciare a “metterci le mani” fin da piccoli.

Continuare a dire che i laureati in Italia sono meno rispetto agli altri paesi europei ci fa sentire i somari d’Europa, ma quanto guadagna oggi in Italia un giovane laureato, che spesso deve fare la valigia e migrare all’estero poiché in Italia non trova opportunità, e quanto guadagna un coetaneo che fa il meccanico, l’elettricista, il falegname, l’idraulico ecc? Certo, oggi anche un artigiano deve avere un diploma di scuola media superiore se vuole essere competitivo. Ma allora perchè in questi anni di crisi la tanto invidiata Germania ha investito molto sugli istituti tecnici e perchè noi non abbiamo copiato questa virtuosa decisionedi Frau Merkel e abbiamo solo tagliato gli investimenti sull’istruzione?

Prendiamo un dato di fatto: le nostre industrie di successo sono quasi tutte medio-piccole, a conduzione spesso familiare e rivolte principalmente verso l’artigianato di alto livello. Sarà un bene? Sarà un male? Non so, ma da sempre l’Italia è così.

Nella scuola secondaria inferiore esisteva alcuni decenni fa una materia chiamata Applicazioni Tecniche, poi diventata, Educazione Tecnica e infine Tecnologia, che qualcuno intende eliminare definitivamente perchè considerata ormai inutile. Gravissimo errore! Direi addirittura catastrofico per il nostro paese! La Tecnologia non la si studia solo sul libro, ma “ci si mette le mani” per imparare ad usarle in modo preciso e creativo. Ma qui entra in gioco la sicurezza: come si fa a dare in mano ad un adolescente un oggetto col quale può ferirsi o ferire? Meglio dargli in mano all’età di 4 anni uno smartphone che sicuramente è un oggetto “sicuro“.

Io insegno Educazione Musicale (continuo a chiamarla col vecchio nome) in una scuola secondaria inferiore. Da anni ormai mi sto accorgendo che i nostri ragazzi faticano enormemente ad utilizzare in modo coordinato le dita delle mani per suonare uno strumento. Penna e matita si usano sempre meno e ormai i nostri alunni sono abituati fin dalla più tenera età ad utilizzare solo il pollice e l’indice (quasi più nessuno conosce i nomi delle dita). Sembra che i mezzi informatici siano la panacea per risolvere tutti i problemi di apprendimento e così si atrofizza una parte del nostro cervello: la manualità. Anni fa, durante un laboratorio per la costruzione di strumenti musicali con materiale di recupero, il tecnico che teneva il corso ai ragazzi, si è accorto con stupore che non sapevano segare un pezzo di legno, piantare un chiodo o avvitare una vite. Carenze nella manualità sono state riscontrate molto spesso anche da altri colleghi di discipline pratiche, in cui occorre appunto l’uso raffinato della manualità.

La ministra Fedeli ora vuol portare l’obbligo scolastico a 18 anni. Niente da eccepire, ma che attività svolgeranno i nostri studenti fino a quell’età? Saranno costretti a rimanere inchiodati ad un banco o potranno sperimentare anche discipline artigianali? Saranno costretti a prendersi una laurea per poiemigrare in qualche paese del nord Europa, o potranno anche decidere di ridimensionare il loro ciclo di studi dedicandosi ad apprendere un lavoro manuale per entrare prima nel mondo del lavoro? E quando un giorno avremo bisogno di un artigiano per eseguire dei lavoretti in casa a chi ci rivolgeremo? Forse agli extracomunitari.

La Buona Scuola prevede l’alternanza scuola-lavoro, ma poi qualcuno obietta che questi ragazzi vengono sfruttati. Mio papà mi raccontava che quando a 12 anni è andato “a bottega” per imparare il mestiere di falegname, non solo non percepiva niente ma erano i suoi genitori che spesso pagavano (con ortaggi, qualche uovo, polli, salami ecc.) l’artigiano che gli insegnava il mestiere. E lui non si lamentava se per alcuni anni il suo unico contributo si limitava a raddrizzare i chiodi, impastare lo stucco, scaldare la colla, arrotare gli scalpelli e spazzare il locale. Pian piano, constatata la predisposizione e la buona volontà, il “maestro artigiano” gli assegnò compiti sempre più complessi fino a renderlo autonomo.

Io continuo a ripetere da anni che il problema della scuola non sta nelle aule ma nelle famiglie. Oggi, consigliare i genitori degli alunni di terza (secondaria inferiore) di indirizzare il/la figlio/a verso un istituto tecnico o professionale, equivale a dire che il/la loro figlio/a è un somaro o un povero inetto e che nella vita potrà solo svolgere un mestiere socialmente degradante. Non sia mai detto! Frequenterà un liceo e poi l’università! Peccato che l’idraulico (oggi diplomato) che supplichiamo di accorrere a casa nostra perché abbiamo una spanna d’acqua sul pavimento, metta subito in conto € 40 solo per venire a constatare il guasto (guadagna più di un laureato e non ti fa nemmeno la fattura).

Carlo Bacilleri