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Combattere il bullismo educando alla felicità

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Prevenire violenza e bullismo educando alla felicità, alla condivisione alla bellezza. Questo spesso dice Roberto Saviano ed è ciò che cercano di fare gli insegnanti più appassionati.

Nella campagna elettorale in corso sembra invece esserci una gara verso la vacuità delle promesse, incrociata con reciproche accuse di incompetenza.

Vacuità manifesta in promesse tanto semplicistiche quanto impossibili da realizzare; più simili alle offerte di venditori senza scrupoli che non alle proposte di persone che avranno la responsabilità di governare una Nazione e che per questo dovrebbero avere la visione del bene comune e la capacità di vedere il Paese come un insieme di reti sociali e comunità (vedi: Ecologia del Diritto di Fritjof Capra e Ugo Mattei).

Incompetenza palesata proprio dalla mancanza di questa visione e di questa capacità.

Grandi sono le responsabilità di chi ha governato la scuola e i servizi educativi e sociali ignorando il reale impatto delle modifiche organizzative e normative sulla qualità dell’istruzione e dell’Educazione.

L’attribuzione di incompetenza ed ignoranza delle conseguenze presuppone la buona fede, nella speranza che non ci fosse l’intenzione di creare volontariamente una scuola ed un sistema educativo inefficiente dal punto di vista della costruzione delle competenze sociali. Inefficienza che tocchiamo con mano quando assistiamo allo scatenarsi della violenza di gruppi di adolescenti; violenza fisica o virtuale, nel cosiddetto cyberbullismo, non certo meno pericolosa, derivante sicuramente da carenze nell’educazione familiare, ma che purtroppo non ha trovato alcuna forma di compenso nelle strutture educative, che avrebbero potuto fornire un modello diverso di crescita umana.

Si incentiva la competizione nelle scuole introducendo i cosiddetti premi al merito per gli insegnanti quando invece occorrerebbe sviluppare le loro capacità cooperative e formarli affinché siano in grado di insegnare prima di tutto quelle abilità sociali che possono creare comunità, dove la cooperazione è la modalità relazionale che riesce a sostituire rapporti basati sulla prevaricazione.

I fondi per i premi al merito sostituiscono anni di riduzione dei fondi d’istituto, che avrebbero dovuto sicuramente essere gestiti meglio, ma che potrebbero essere destinati a realizzare attività in grado di contrastare la dispersione scolastica palese e occulta, ovvero le bocciature, ma anche lo sviluppo di percorsi scolastici inefficaci, nei quali gli allievi non sviluppano le competenze loro necessarie e in particolare le competenze sociali.

Spesso quando si parla di competenze si pensa alle capacità necessarie per diventare buoni lavoratori, ignorando che in primo luogo è importante essere in grado di convivere nella propria comunità sulla base del rispetto della dignità personale, grazie anche a capacità empatiche che permettano di comprendere e condividere il vissuto di altri esseri umani. Queste capacità impedirebbero di aggredire altre persone e indurrebbero invece a fare qualcosa per aiutare chi è stato aggredito. Invece succede che decine di persone che assistono a scene di violenza non solo non intervengono ma non ritengono neanche necessario fornire informazioni, anche solo in forma anonima, per aiutare le forze dell’ordine a individuare i responsabili, senza rendersi conto che la prossima volta potrebbe toccare a loro se i responsabili delle violenze non vengono fermati.

Sarebbe un modo per concepire la società non come relazione tra individui isolati, ma come comunità, in un’ottica sistemica, nella quale ciò che succede a un individuo ha inevitabilmente effetti anche sugli altri.

Si distribuiscono soldi a pioggia attraverso bonus ai diciottenni quando sul territorio sono carenti quelle strutture educative che potrebbero creare centri di aggregazione in grado di sviluppare abilità sociali e interessi per l’arte, lo sport, la musica e quant’altro possa costituire un’alternativa alla violenza come passatempo e modalità di costruzione dell’identità di un adolescente.

In sostanza, riferendosi ancora a quanto spiegano Fritjof Capra e Ugo Mattei nel loro libro Ecologia del Diritto, l’azione di governo della scuola non è riuscita a cambiare paradigma: si è mantenuta ad un livello di concezione meccanicistica, affidandosi a banali rapporti di causa-effetto: diamo più soldi a un insegnante così lavora meglio; diamo più soldi a un diciottenne così migliora la sua cultura e preveniamo la violenza, quando invece il nuovo paradigma scientifico di tipo sistemico non vede più il mondo come una macchina, bensì come una rete, nella quale occorrono capacità di creare occasioni di confronto, cooperazione, condivisione.

Se questa concezione fosse acquisita nel diritto, come auspicano gli autori, e anche nel pensiero di chi governa e riforma la scuola e i servizi educativi e sociali, avremmo riforme che puntano ad aumentare il livello di collaborazione, per sviluppare una costruzione collettiva del sapere, di gran lunga più efficace rispetto all’attuale condizione di isolamento nel lavoro degli insegnanti e di scarso dialogo tra istituzioni.

Avremmo inoltre molti meno educatori disoccupati e meno adolescenti senza riferimenti.

L’azione delle forze dell’ordine potrebbe allora assomigliare meno al tentativo di svuotare un lago continuamente alimentato da un fiume impetuoso.

Sarebbe quindi auspicabile sentire meno promesse e ascoltare invece più proposte caratterizzate dalla capacità di vedere la realtà nella sua complessità, che richiede soluzioni complesse, articolate, cooperative, che riescano a fornire modelli di vita positivi basati sull’educazione alla felicità alla condivisione alla bellezza.