La scomparsa di Maurizio Costanzo lascia un grande vuoto nel mondo della comunicazione, dello spettacolo e della cultura.
Le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, rappresentano al meglio lo spessore dell’uomo e del professionista: Maurizio Costanzo, ha detto il Capo dello Stato, “ha contribuito grandemente al rinnovamento dei generi televisivi, ideando nuovi format e nuovi linguaggi”.
Negli anni Novanta ho assistito diverso volte al Maurizio Costanzo Show: più che uno spettacolo, si trattava di un dibattito, sempre incentrato su argomenti di attualità e interesse, mai banale. Costanzo lo dirigeva con maestria e disinvoltura, con l’intento di tirare fuori dagli ospiti contenuti inediti o qualche scoop.
Il Maurizio Costanzo Show, avviato nel 1982 e portato avanti quarant’anni, si svolgeva il pomeriggio ed era trasmesso in differita, in seconda serata su Mediaset. Toccò l’apice del successo dopo l’attentato del 1993, quando Costanzo, assieme a Maria De Filippi, fu vittima di un attentato dinamitardo – in via Fauro – dal quale uscì indenne: quelle decine di chili di tritolo esplosi furono la risposta al giornalista, autore e sceneggiatore che si era pubblicamente posizionato contro la mafia.
Costanzo, come altre 500-600 persone in Italia, era ufficialmente finito mirino delle organizzazioni malavitose: da quel momento gli fu assegnata la scorta.
Un paio d’anni dopo l’attentato conobbi di persona Maurizio Costanzo: la Facoltà di Scienze della Comunicazione, alla Sapienza di Roma, che frequentavo da studente, gli aveva affidato la cattedra di Teoria e tecniche del linguaggio radio-televisivo. Si trattava di un incarico “a contratto”, in qualità di esperto: Costanzo, che come studente non aveva mai frequentato l’Università, si ritrovò ad insegnare quello che gli era riuscito di più nella vita. E anche quello gli riusciva bene.
Mi incrociai con lui al termine del suo corso. Durante l’esame, quella sera in via Salaria a Roma, a due passi da Piazza Fiume, ricordo che nell’aula grande al piano terra parlammo dell’importanza della postura e della dizione: dava a tutti del lei, ma non fu un esame formale. Anzi, ebbi la sensazione di parlare con lui quasi da intervistato, come se stessimo sul palcoscenico, su argomenti che interessavano ad entrambi.
Esattamente come sul palco del Parioli, anche all’Università Costanzo andava subito al sodo: era iper-comunicativo, pure in quel contesto. Il suo carisma era palpabile.
A ripensarci, faceva un certo effetto scorgere tra gli studenti i carabinieri, in borghese, che sorvegliavano le entrate dell’aula e controllavano che dentro non vi fossero “movimenti” strani.
Il mio esame durò meno di un quarto d’ora. Quando terminò, provai una sensazione strana “abbiamo già finito”, dissi dentro di me, con un certo rammarico. Fu probabilmente la prima e ultima volta che provai quel sentimento alla fine di un esame. Mi mise 30 trentesimi, ma “la notizia” era Maurizio Costanzo: uno dei più importanti giornalisti italiani era lì, in carne e ossa, per una volta non in tv, a parlare di tecniche di giornalismo. Che emozione. Ci mancherà tanto.
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