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Mobilità, la precedenza per legge 104 va riconosciuta a tutti i familiari: perché i lavoratori della scuola sono discriminati

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Com’è noto, il contratto sulla mobilità riconosce la precedenza stabilita dalla legge n.104/1992 non a tutti i familiari, ma solo ai genitori o coniugi del disabile, oppure – a determinate condizioni – all’unico figlio in grado di prestare assistenza.

Pertanto, se si ha uno zio (o una suocera) in condizioni di grave disabilità – persino se convivente nel medesimo nucleo familiare – non spetta alcuna precedenza nelle operazioni di mobilità.

Le ragioni della tutela

Com’è noto, la legge n.104/1992 riconosce ai parenti ed affini fino al terzo grado che assistono il soggetto gravemente disabile la precedenza nelle operazioni di trasferimento a domanda.

Il contrasto in peius tra legge e disposizioni contrattuali è stato largamente criticato anche a livello giurisprudenziale, ma la Corte di Cassazione con sentenza n. 4677/2021 ha ritenuto legittimo modulare la precedenza sulla base del grado di parentela, riconoscendola solo ai parenti più stretti e dando agli altri parenti solo la possibilità di chiedere l’assegnazione provvisoria.

Chi è il soggetto tutelato dalla l. n. 104/92?

Senza ombra di dubbio, la legge quadro per l’assistenza e l’integrazione ha per fine la tutela del soggetto disabile.

Tra l’altro, le carenze del sistema pubblico di assistenza sono purtroppo ben note, per cui è la rete familiare che deve necessariamente farsi carico delle inefficienze della Pubblica Amministrazione.

Dunque, perché discriminare il soggetto disabile per il solo fatto di non avere figli, ma solo nipoti o la nuora convivente?

Una regola che vale solo per la scuola

La giurisprudenza costituzionale e di Cassazione ha affermato che i principi stabiliti dalla l.n.104/1992 attengono a fondamentali diritti di rango costituzionale.

Questi diritti possono essere scarificati solo se il datore di lavoro dimostra di avere particolari “esigenze tecniche o organizzative che non possono essere diversamente soddisfatte” (Cass. n. 6150/2019).

Questa principio – che vale per tutti i comparti del pubblico impiego – non si applica al settore scolastico.

Il dissenso della Magistratura

Per queste ragioni, nonostante l’autorevolezza della Cassazione, fin da subito, molti Giudici hanno mostrato di non condividere tale orientamento restrittivo.

Proprio in questi giorni (16 gennaio 2024), è stata pubblicata un’ulteriore sentenza, stavolta del Tribunale di Cosenza, nella quale il Giudice ha apertamente dichiarato di dissentire dall’orientamento della Corte di Cassazione, sottolineando come lo Stato italiano attuerebbe un trattamento discriminatorio, in violazione della Direttiva CE 78/2000.

L’interpretazione del Giudice di Cosenza non rappresenta affatto un caso isolato.

Nella stessa sentenza, si richiamano molteplici precedenti favorevoli, tra i quali vanno annoverate varie sentenze della Corte d’Appello di Firenze.

Una situazione insostenibile

Nonostante la palese ingiustizia e le decisioni di una parte rilevante della Magistratura, con le attuali disposizioni contrattuali, il soggetto disabile deve augurarsi di avere un figlio che lavori alle Poste o magari presso la Guardia di Finanza.

L’importante è che non lavori nella scuola.