Home I lettori ci scrivono Non chiamateli “licei brevi”

Non chiamateli “licei brevi”

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La riduzione dei tempi per il conseguimento della maturità è un passo da fare velocemente, negli Stati europei, dove è già attiva, i risultati sono positivi e le politiche sul lavoro dei giovani sono già volte a interventi concreti (Francia, 500 euro ai giovani con il contratto d’impegno).

In Italia, con ulteriori sperimentazioni, rischiamo di rendere i giovani meno competitivi nel mercato globale del lavoro. Il mondo della scuola e quello del lavoro hanno già subito un’azione e una spinta di riforme frammentarie e lente. Ai nostri giovani vanno date opportunità, impulsi, segnali, input, motivazioni. Le buone pratiche degli altri Stati europei devono servire a far riflettere sull’importanza della qualità a fronte della quantità e dell’efficacia sui risultati finali. Nel mercato globale del lavoro ci sono anche i nostri giovani che arrivano più grandi per età e che non possiamo aver alcuna presunzione di affermare più competenti perché hanno affrontato un percorso di studi più lungo. Rammarica molto immaginare che, nonostante, il governo e le parti competenti abbiano sviluppato queste sensibilità e visioni, si permanga ancora in un terreno di sperimentazioni. È evidente che, a fronte di una anticipata acquisizione del titolo, che anticiperebbe anche il “tempo studio” universitario, si renda necessario modificare i curricula, la gestione complessiva dei percorsi formativi e congiuntamente anche le politiche del lavoro.

È proprio su queste ultime che necessitano scelte coraggiose e responsabili. La riforma in questione (4 anni per la scuola secondaria di secondo grado) è una risorsa per il futuro ed è uno strumento per sostenere i nostri giovani e le future generazioni. Il “contenitore occupazione” deve cambiare “forma”, “materia”, regole e concezione, passando da una formazione energica- dinamica e “atletica” a opportunità di lavoro flessibile, inclusivo e volto alla valorizzazione del lavoratore, anche e soprattutto, con opportunità di carriera. In Italia abbiamo stretto così tanto “la cinghia” che li dati sulla disoccupazione sono alle “stelle” e che molti lavoratori permangono in posizioni stagnanti e senza motivazioni (le motivazioni hanno una ricaduta tangibile sulla produzione, sui fatturati e di conseguenza sul PIL).

È questo il panorama futuro che mostriamo ai giovani. I ragazzi e gli studenti incontrano nelle opportunità in Europa (Es.: Erasmus – Lavoro) diplomandi e laureati più giovani.

Le paure legate alle incertezze per il futuro, vissute dai giovani e dalle loro famiglie, costituiscono e costruiscono fragilità, ulteriori preoccupazioni e esitazioni che devono essere canalizzate e gestite per disegnare una politica del cambiamento più incisiva con investimenti determinanti.

Paola Daniela Virgilio Associazione Nazionale Pedagogisti Italiani