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Nove in condotta e bullismo, lo scenario non muterà senza valore sociale della scuola

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Concorrenza tra notizie dalla scuola: maturità versus bullismo

Gli esami di maturità, come momento conclusivo di un lungo percorso di studi, sono di per sé la cartina al tornasole che rivela quanto funzioni la scuola italiana.

Noto, con interesse, che quest’anno il dibattito si sta spostando dalle conoscenze disciplinari – a rigore l’unico elemento soggetto alla verifica da parte dei membri esterni della commissione d’esame – alla disciplina tout court.

Gli atti di bullismo accaduti durante l’anno riescono ad oscurare l’attualità degli esami di maturità. Fa discutere di nuovo il caso della docente di Rovigo colpita con pallini sparati da una pistola ad aria compressa; sul portale della Tecnica della scuola del 27 giugno ben quattro articoli sono dedicati al nove di condotta ottenuto da uno degli studenti coinvolti nel fattaccio. Due tra questi quattro articoli presentano il punto di vista del Ministro Valditara.

In sintesi, il Ministro annunciava di aver intenzione di valutare il caso ed aveva già mandato un’ispezione all’IIS “Marchesini” di Rovigo. Per sua dichiarazione “non basta mandare gli ispettori, interverremo anche sul voto di condotta “; ed invitava il consiglio di classe a riconvocarsi.

Oggi, 29 giugno, sappiamo che i 9 di condotta si sono abbassati a 6 a 7; ed ecco, c’è chi invoca l’autonomia della scuola nell’assumere le proprie decisioni in ambito educativo, ritenendo indebita l’ingerenza del Ministro, ma c’è anche chi reclama misure più severe e tali da essere adeguate al fatto grave accaduto pochi mesi prima.

La discussione, attorno alla domanda centrale “come restituire autorevolezza agli insegnanti e alla scuola”, è aperta.

Non si tratta di una questione semplice: alla base di tutto c’è quella che Massimo Recalcati definisce “rottura del patto educazionale”; tra scuola e famiglia non esiste più continuità.

“Lo stato di salute della scuola riflette la condizione comatosa dello stato educativo in generale”; il continuo rimpallo di responsabilità tra scuola e famiglia, l’inaccettabile rovesciamento dei ruoli per cui spesso i genitori fanno “i sindacalisti dei figli” è alla base degli atti di bullismo e del disconoscimento dell’autorità degli insegnanti.

La posizione di Valditara su voto di condotta e bullismo

Torno ora a Valditara il quale, ancora una volta, dimostra di non avere le idee del tutto chiare: da un lato “il voto di condotta dovrà avere un ruolo importante in tutti i percorsi della scuola secondaria. Con i tecnici definiremo come questo avverrà”. Questo il 27 giugno; ed ecco, con velocità supersonica, già oggi, 29 giugno, è stato definito cosa fare.

In parte, un ritorno al passato: per le scuole secondarie di I grado si ripristina la valutazione del comportamento. Per il resto, si prevede sorta di giro di vite: la valutazione del comportamento inciderà sui crediti per l’ammissione all’Esame di Stato, e l’assegnazione del 5 di condotta potrà avvenire anche per gravi e reiterate violazioni del Regolamento di Istituto. Permangono tutte le “buone intenzioni” già enunciate in precedenza: “quando uno studente si comporta da bullo, aggredendo un compagno o un insegnante ci vuole più scuola e non meno scuola”, aveva detto il Ministro; “questo non vuol dire farlo tornare nella stessa classe dove ci sono l’insegnante o il compagno che ha aggredito, ma coinvolgerlo in percorsi di recupero con attività di solidarietà ovvero con un approfondito studio di certe problematiche. Non nutro simpatia per le sospensioni”.

Oggi sappiamo che se la sospensione supera i 2 giorni, lo studente dovrà svolgere attività di cittadinanza solidale presso strutture convenzionate.

Chi come me, non nutre simpatia per la vaghezza delle proposte, si chiede come e da quale personale verranno seguiti i “bulli” nelle attività di recupero, quali percorsi si proporranno loro, quali siano le “certe problematiche” di cui approfondire lo studio, quale la natura delle “strutture convenzionate” presso cui svolgere attività di cittadinanza solidale e infine in che modo Valditara garantirà il diritto dello studente ad avere “più scuola”.

In sintesi, da un lato il Ministro propone un buonista “niente sospensioni ma più scuola”, dall’altro adotta un atteggiamento burocratico-protocollare, che affida al voto di condotta un valore salvifico.

Due posizioni in aperto conflitto tra loro ma circonfuse dalla stessa aura indefinita e, temo, prive di valore operativo.

Le difficoltà della scuola italiana

Una cosa è certa: la scuola italiana sembra proprio, da tutti i punti di vista, una nave senza nocchiero in gran tempesta, con quel che segue. L’esame di maturità non può che riflettere le contraddizioni del sistema.

Semmai il Ministro leggesse quel che scrivo, gli raccomando la visione dellinteressante servizio del TG3 regionale del Piemonte del 21 giugno scorso, il giorno della prima prova. Vengono intervistati due docenti e viene chiesto loro di esprimere un parere sulle tracce.

Il primo, un docente di Italiano di un istituto tecnico torinese, alla domanda se le tracce fossero adeguate alla preparazione degli studenti risponde che esse erano di varia difficoltà e che quelle di natura letteraria erano “molto, molto complesse”. Concordo: mi pare che la lettura de “Gli indifferenti” non sia così popolare tra i diciottenni ed ho constatato che numerose antologie per i tecnici e i professionali hanno addirittura espunto Quasimodo dalla triade “Ungaretti-Montale-Quasimodo”.

Al professore di Torino fa eco, però, una professoressa di Novara: piglio deciso nell’affermare che “i ragazzi dovrebbero uscire dal liceo con gli strumenti che li mettono in grado di affrontare qualsiasi testo letterario”. La temeraria dice proprio così: “qualsiasi”. Seguita meglio: “Non è necessario che abbiano conoscenza dell’autore o che abbiano letto quello specifico brano… quello che conta è che loro usino il materiale che hanno a disposizione e che hanno costruito nell’arco dei cinque anni e applichino questi strumenti al testo in questione”.

Non contestiamo qui l’imprecisione lessicale, il confondere materiale e strumenti; ciò potrebbe essere scusabile con la poca consuetudine alle interviste. Contestiamo invece – e la vediamo come una spia di ciò che non va nella nostra scuola – l’idea che si possa parlare di qualcuno o di qualcosa senza averne conoscenza. In generale questa è un’idiozia. In particolare, applicata alla letteratura, è un modo per svilirne la funzione, riducendola a mera forma.

Nei due insegnanti intervistati ho visto i due volti del “ceto docente” italiano: da un lato la disarmante voce del buon senso e la capacità di valutare le difficoltà degli studenti, dall’altra la voce dell’“innovazione” didattica, legata ad un passaggio distorto da una “didattica delle conoscenze” ad una “didattica delle competenze” la quale, magicamente, porta lo studente a parlare di Salvatore Quasimodo o di Alberto Moravia pur ignorando tutto di loro.

Parafrasando Recalcati concludo dicendo che siamo di fronte alla polverizzazione del patto educazionale, strettamente collegato all’esplosione dei modelli educativi famigliari.

Non basterà nominare una commissione tecnica sul voto di condotta, non basterà “personalizzare” l’insegnamento e affibbiare un tutor ad ogni bullo in atto o in potenza; lo scenario è destinato a non mutare sino a quando il valore sociale della cultura e della scuola verranno di fatto disconosciuti.

Non bastano le parole, ci vogliono atti concreti: bisogna ridare alla scuola il suo ruolo di ascensore sociale. In Italia le cose cambieranno, anche a scuola, solo e soltanto quando l’indice di Gini, che misura la distribuzione della ricchezza in una popolazione, non rivelerà più che il nostro Paese è tra i più diseguali all’interno dell’Europa continentale.