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Oziare per apprendere

Le pause durante lo studio rappresentano un momento chiave per la memorizzazione o l’apprendimento. A rivelarlo è un gruppo di scienziati americani e a pubblicarlo è Nature, una delle riviste scientifiche più note. I risultati delle studio mettono al bando le full immersions dell’ultimo minuto ed esaltano la classica pausa, possibilmente accompagnata da un sano snack. Tale alternanza,secondo gli studiosi, aiuterebbe il cervello a ripercorre le informazioni acquisite (adottando il meccanismo di un nastro che si riavvolge), consentendogli di riepilogare quanto appreso ea fissarlo nella memoria in maniera più stabile e duratura. Insomma, un tempo era stata riabilitata la siesta, ora è il turno del break…
Chi lo avrebbe mai detto? Secondo gli scienziati, lo sguardo perso nel vuoto, e apparentemente svagato, non è sempre da condannare poiché mentre noi oziamo, i neuroni dell’ippocampo (sede della memoria) non fermano la loro attività. Al contrario, in quei momenti essi si trovano impegnati a passare in rassegna le informazioni immagazzinate (a quel punto già diventate ricordi) riproducendo la medesima attività elettrica innescata durante la fase di apprendimento, anche se nel senso inverso, esattamente al pari del rewind di un registratore.
Come si è soliti fare in fase sperimentale, l’osservazione è partita dall’attività cerebrale dei topolini. Essi dovevano correre lungo un tratto di 1,5 metri, poi riposarsi e, dunque, riprendere la corsa. Durante la pausa i roditori rimanevano fermi per un po’ e si concedevano qualche divagazione: si leccavano i baffetti, si ravvivavano il pelo con le zampette, facevano un piccolo spuntino.
Gli esperti hanno avuto modo di vedere che, durante la corsa, i neuroni dei topolini erano in attività. Fatto normale questo, poiché muovendosi in un percorso mai fatto prima, gli animali lo studiano, lo esplorano, lo memorizzano. Ciò che sembra essere meno normale, invece, è che quegli stessi neuroni, anziché oziare insieme al topolino, alla fine del percorso si mettevano in moto riproducendo una sequenza di impulsi elettrici tale e quale a quella registrata durante la corsa, ma di senso contrario. Oltretutto, la riproduzione invertita avveniva in modo più veloce, come se il cervello degli animali stesse riavvolgendo un nastro sul quale erano state incise le informazioni.
In ultima analisi, lo studio dimostra la capacità dei neuroni di accendersi in una fase post-apprendimento, riproducendo il pattern esatto di impulsi nervosi prodotto al momento della formazione dei ricordi, con la sola differenza che lo fa in senso opposto.
Se tutto ciò è valido per i piccoli roditori, lo è necessariamente anche per l’uomo? Di fatto, il funzionamento dell’ippocampo degli animali e degli umani è molto simile e, secondo gli scienziati, la ricerca potrebbe significare che la pausa sia un momento chiave anche per la memorizzazione o l’apprendimento umano. Questo funzionamento spiegherebbe l’inutilità di concentrarsi senza sosta su un compito, o di dedicarsi all’apprendimento dell’ultimo minuto. Senza contare che può essere persino deleterio per le proprie prestazioni cognitive.
E dire che i nostri genitori ce lo dicevamo già trent’anni fa, ancor prima che gli scienziati del Massachussets Institute of Technology avviassero l’esperimento sull’attività cerebrale degli ignari topolini…
 
 
 
Alessandra

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