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Pensieri visibili: sulla scuola nel futuro prossimo venturo

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No, non è il soliloquio di un’insegnante ai tempi del coronavirus né un esercizio di introspezione psicologica, ma, in un certo senso, vorrei sperimentare su me stessa uno dei due concetti chiave del modello educativo MLTV (Making Learning and Thinking Visible), nato nel 2016 dalla collaborazione tra INDIRE e la Harvard Graduated School of Education: costruire il pensiero e renderlo visibile, per farlo emergere dalla immatura crisalide in cui ha iniziato a prendere forma, assumerne piena coscienza e promuoverne lo sviluppo critico sia personale che collettivo.

Avverto, infatti, la forte esigenza di uscire dalla zona di confort in cui, nonostante tutto, sono riuscita a sentirmi a mio agio e ad organizzare il mio spazio e il mio tempo familiari e lavorativi in questi mesi di isolamento sociale. Sono fortunata a possedere un giardinetto, a non essere mai stata, in fondo, amante della vita mondana e ad avere le competenze digitali che mi consentono di non soffrire il “lavoro agile” come una fatica … anzi!

Ora, però, da docente e supporto dei docenti come componente dell’équipe formativa territoriale siciliana, mi trovo a interrogare me stessa su “come sarà la scuola quando si tornerà a scuola”; sento il bisogno di connettere l’esperienza di oggi con quella maturata nelle classi nel corso di quasi un trentennio, ma anche di andare oltre il momento presente, sforzandomi di costruire nella mia mente uno scenario il più ottimista possibile per il domani scolastico.

Eh sì, perché ora è il momento di fare tesoro delle nostre riflessioni, ora è il momento di pianificare e di orientare le nostre scelte per il futuro, ora che possiamo fare delle nostre perplessità il motore all’approfondimento delle conoscenze digitali che giocoforza stiamo acquisendo, ora che possiamo fare delle nostre curiosità la più potente molla alla sperimentazione metodologica, ora che possiamo fare delle nostre emozioni il trampolino di lancio verso una relazione davvero differente con i nostri allievi.

Partiamo proprio da loro, i nostri piccoli alunni e giovani studenti: come sono cambiate tra noi e loro le reciproche prospettive di osservazione e di interazione?

Non voglio riferirmi a romantici sentimenti di nostalgia, che pure sono balenati nei nostri cuori, ma alla centralità della loro posizione nel nuovo riferimento spazio-temporale della didattica a distanza, la DAD.

Eccetto sparuti casi di grottesche riproduzioni in remoto dell’aula fisica, in cui non troneggia la cattedra ma, di fatto, il docente domina “a schermo intero” la scena di una infruttuosa didattica trasmissiva online (situazioni che, ahimè, non sono mancate!), anche gli insegnanti più burberi e conservatori si sono trovati a iniziare la giornata non dalla spiegazione ma dalla relazione coi loro allievi, si sono trovati a dovere illuminare con parole di conforto quegli occhi talvolta spauriti al di là del monitor, si sono trovati a riconoscere quanto i bagliori di quei giovani sguardi fossero importanti per sostenere e motivare i sacrifici e l’enorme mole di lavoro di preparazione delle loro lezioni alternative e, talvolta, per sdrammatizzare inevitabili défaillances.

Più che mai nel fare didattica a distanza è emerso il ruolo centrale dell’alunno nel processo di insegnamento-apprendimento, che ha conferito un vigoroso e gratificante significato di coaching, mentoring e tutoring al teaching proprio della funzione docente.

Grazie al nuovo approccio, prima di tutto relazionale ed emotivo, molti di noi hanno inaspettatamente catturato l’attenzione e l’interesse di coloro i quali in aula si mostravano svogliati e demotivati; si, è accaduto anche questo, perché i nostri allievi hanno imparato a guardarci da una prospettiva diversa, quella di un supporto, una guida, un necessario acceleratore del loro apprendimento, pur nella fragilità che ci ha accomunati dinnanzi alle novità del nuovo modo di fare scuola.

Non scordiamo tutto ciò al ritorno nelle aule e di questo presente, che speriamo diventi presto passato, serbiamo preziosa memoria, anche se la cattedra ci aspetta in posizione centrale nell’arredo; sia per noi, appunto, solo un elemento di arredo scolastico!

In questi mesi, pur lasciando la nostra postazione privilegiata a cui gli studenti si accostavano timorosi e andando noi a raggiungere virtualmente loro, uno ad uno nelle loro case, abbiamo compreso con profonda consapevolezza quanto siamo importanti per loro e quante risorse siamo capaci di mettere in campo per Educare e Insegnare, nel senso etimologico dei termini.

E la tecnologia? Che ruolo ha avuto e avrà nei nuovi scenari di apprendimento?

Beh, ora ne siamo sicuri: non può certo sostituirci (non ne ha mai avuto la pretesa, in verità, anche se qualcuno lo temeva!) ma, non si può negare, è stata un nostro validissimo alleato!

Malgrado qualche problema di connessione, qualche difficoltà nell’utilizzo delle piattaforme di e-learning, qualche notte trascorsa a guardare i tutorial proposti dai colleghi che col digitale andavano a braccetto già prima della pandemia e nonostante l’impossibilità di raggiungere virtualmente proprio tutti, sarebbe stato impensabile, senza l’aiuto del digitale, garantire il servizio essenziale che siamo stati in grado fornire alla comunità.

Su questa considerazione si aprono due ulteriori canali di riflessione; il primo è che la fiducia acquisita dagli insegnanti nei confronti della tecnologia debba continuare ad essere di sprone all’approfondimento di quelle conoscenze digitali che consentiranno loro di migliorare ancora e di crescere professionalmente: la tecnologia ha giocato benissimo la sua parte di “mezzo” e non di “fine” che il Piano Nazionale Scuola Digitale assicurava di volerle attribuire e, tutt’altro che di intralcio all’insegnamento, ne ha favorito la sintonizzazione agli stili e alle esigenze della modernità. Il secondo canale di riflessione riguarda il pieno riconoscimento del ruolo fondamentale che gli insegnanti rivestono nella società, non soltanto come mediatori dei saperi tradizionali, ma anche come figure di riferimento e facilitatori all’utilizzo corretto ed efficace dei media digitali da parte dei giovani; questi, infatti, in molti casi hanno scoperto proprio grazie ai loro professori le potenzialità che la tecnologia pone a supporto del loro processo di apprendimento.

E’ vero, tante risorse e parecchi finanziamenti sono stati mobilitati per il mondo della scuola, ma non è sufficiente lo stanziamento di fondi una tantum o un accorato ringraziamento formale perché la scuola continui il percorso di innovazione che con l’emergenza in atto è finalmente uscito dalle pagine manuali e dei saggi di pedagogia, divenendo reale.

La scuola deve restare al centro dell’attenzione e deve essere riconosciuta come una priorità per l’Italia.

Se questa particolare cura continuerà ad essere dedicata alla scuola e se ai docenti italiani sarà attribuita la dovuta gratificazione, sono certa che, quando si potrà rientrare negli istituti scolastici, le nostre aule saranno veramente “aumentate” dall’uso del digitale, allievi e professori vivranno con la leggerezza della prassi la loro doppia vita “blended” a metà tra mondo reale e mondo virtuale, traendo il meglio dall’una e dall’altra realtà, che allora diventeranno davvero complementari.

Si potrà sfruttare la metodologia Flipped per proporre segmenti curricolari in differita, mentre il tempo in aula potrà essere più efficacemente utilizzato per attività di apprendimento collaborativo, approfondimenti, personalizzazione dei percorsi didattici, collegamenti pluridisciplinari, Debate e sfidanti compiti di realtà. E’ questa la strada che condurrà a una efficace programmazione per competenze e che potrà dare senso alla sempre più spesso evocata “valutazione autentica” (sulla quale occorrerebbe attivare un’atra routine MTV!).

Oltretutto, una didattica blended opportunamente strutturata consentirebbe di ridurre il tempo scuola in presenza e di lavorare con gruppi alterni di studenti, limitando l’affollamento delle aule, azione necessaria almeno nei primi mesi del prossimo anno scolastico.

La flessibilità dei tempi è, d’altra parte, uno dei punti focali di tutte le metodologie didattiche innovative e molte scuole nell’ambito dell’autonomia avevano già sperimentato rimodulazioni dell’orario scolastico che prevedevano la compattazione e la circolarità dei corsi disciplinari in bimestri o trimestri; ritengo che alcune di queste esperienze di flessibilità oraria potrebbero essere prese in considerazioni e analizzate per valutarne una più diffusa fattibilità.

Il tempo: qual è il significato del tempo “ritrovato” in isolamento e quale significato assumerà nella didattica futura?

Tutti i docenti con cui ho avuto modo di comunicare nei miei corsi a distanza come formatrice EFT, hanno riferito, non con dispiacere ma con grande spirito di abnegazione e senso del dovere, di avere lavorato in questi ultimi due mesi più del triplo che in presenza e di “non avere contato il tempo”; io stessa sono stata informata dalla mia schiena e non dall’orologio del tempo trascorso al computer nella preparazione di video-registrazioni, tutorial e webinar.

Eppure, mai il tempo nel corso degli anni scolastici precedenti era trascorso tanto velocemente e, nel contempo, mai avevo avuto tanto tempo da dedicare alla lettura e all’autoformazione. Attribuisco la sensazione di rapidità dello scorrere dei giorni alla densità di impegni nel fornire supporto alle scuole e alla foga con cui mi sono dedicata ad essi, in collaborazione con i colleghi dell’équipe e sotto il coordinamento dell’USR Sicilia; d’altro canto, però, la permanenza a casa e la conseguente assenza di spostamenti di lavoro anche tra comuni diversi, mi ha dato l’impressione di un tempo “dilatato”. Dal punto di vista emotivo, invece, la mia relazione con tempo è stata talvolta dolorosa, per la difficoltà di prevedere il giorno in cui potrò riabbracciare i miei cari o per aver dovuto rinunciare a viaggi da tempo programmati.

Impossibile, dunque, non fare una riflessione sul senso che assumerà il tempo nella didattica futura.

Se il prossimo anno scolastico terrà a battesimo una profonda e consapevole innovazione metodologica della scuola italiana, e in tal senso sono molto fiduciosa, anche nella didattica in presenza il tempo dovrà essere gestito in maniera differente: non bisognerà lasciarsi prendere dall’ansia di recuperare il tempo perduto in questi mesi, perché perduto non è stato affatto, e si dovrà pensare a una didattica più breve, mai banale, centrata sulle tematiche fondanti di ciascuna disciplina, di cui andranno sviluppati i concetti cardine ai quali ancorare le attività volte al conseguimento delle competenze chiave.

Ciò dovrebbe spontaneamente sollecitare un ripensamento degli esami finali, specie quelli della scuola secondaria di secondo grado, in modo che in futuro il percorso di insegnamento-apprendimento non sia più segnato dallo stress di dover completare in tempo i programmi curricolari, ma si possano autonomamente variare i ritmi di marcia a seconda dei reali progressi degli allievi nel processo di conseguimento delle competenze del XXI secolo.

In conclusione, se noi docenti lo vogliamo, questa pandemia avrà il potere di cambiare la scuola più di quanto cento riforme possano fare, ma a quel punto si presenterà con forza l’esigenza di una attenta revisione strutturale del sistema di istruzione italiano, all’interno della quale gli impulsi, gli entusiasmi e le esperienze messi in moto dall’emergenza attuale si configurino come competenza matura di un corpo docente italiano davvero innovativo.

Ecco, l’aver reso visibile il mio pensiero mi fa sentire meglio e se qualche input di riflessione sono riuscita a offrire a chi legge, beh!, allora la sperimentazione della metodologia MTV di cui parlavo all’inizio ha sortito un esito positivo.

Daniela Averna