Dal Recovery fund non sembra arrivare alcun paracadute per i lavoratori che hanno intenzione di lasciare il servizio prima dei 67 anni di età imposti dalla Legge Monti-Fornero. E nemmeno per sopperire alla fine di ‘Quota 100’, la cui sperimentazione triennale, varata dal governo M5s-Lega, andrà ad esaurimento il prossimo dicembre. Dal 1° febbraio 2022 l’anticipo 62 anni potrebbe al massimo essere mantenuto solo per lavori logoranti: quelli che oggi sono contenuto nell’elenco (una ventina di professioni) associato alla cosiddetta Ape Social, che per la scuola riguarda solo i maestri della scuola dell’Infanzia. Lo si apprende leggendo la versione definitiva del testo che il CdM ha approvato nella notte.
Nel documento pervenuto alla Tecnica della Scuola non c’è traccia di provvedimenti per agevolare l’anticipo pensionistico. A pagina 37 si legge, però, una “Raccomandazione dell’Europa: Attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica e creare margini per altra spesa sociale e spesa pubblica”.
E qui sta il punto: per l’assegnazione dei 221,5 miliardi di euro del Recovery fund, l’Italia ha dovuto fornire a Bruxelles adeguate garanzie, tra cui proprio quella di non incrementare l’aumento della spesa previdenziale.
Per quanto riguarda i pubblici dipendenti, i dati dell’Italia sulla previdenza, del resto, sono impietosi: durante l’ultimo Forum Pa, l’appuntamento annuale sulla macchina statale, è emerso che nella pubblica amministrazione, scuola compresa, a breve i pensionati della PA supereranno gli attivi.
Ad oggi nel pubblico impiego, a fronte di 3,2 milioni di dipendenti in servizio, vi sono altri 3 milioni di ex dipendenti a riposo.
Se si continuano a creare “scivoli” il rischio sorpasso diventa concreto: oltre mezzo milione di dipendenti pubblici – quindi uno su sei – hanno infatti superato i 62 anni di età. Inoltre, quasi 200mila hanno già raggiunto i 38 anni di anzianità contributiva.
Nel contempo, le assunzioni continuano invece a latitare: nella scuola, ad esempio, a fronte di ben oltre 100 mila immissioni in ruolo finanziate dal Mef, nell’ultimo biennio ne sono state realizzate la metà della metà, per via delle tante graduatorie con classi di concorso esaurite e dei concorsi che non si portano a termine. Il risultato è il turn over è così ridotto che non copre nemmeno i pensionamenti ordinari.
Con la cancellazione nella versione finale del Recovery fund delle procedure concorsuali semplificate, la situazione sembra quindi destinata a diventare ancora più “bloccata”.
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