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Per la psicologa francese Caroline Goldman basterebbe un bel “vai in camera tua” per educare bene i nostri figli

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Se ne parla su tutta la stampa, sui social, in televisione, dappertutto. Ne abbiamo parlato e continueremo a farlo anche noi, perché il tema è uno di quelli che non si esaurirà mai: tutto questo malessere che attanaglia, sotto ogni latitudine, bambini e adolescenti, questi disturbi del comportamento che pregiudicano l’instaurarsi di relazioni positive tra studenti e docenti, sono il risultato di una cattiva educazione da parte della famiglia o è la scuola che deve assumersene la responsabilità? Se un ragazzo spara con un fucile ad aria compressa o prende a pugni un professore è “colpa” della famiglia o della scuola? Potrebbe sembrare una domanda del tipo “cosa è nato prima, l’uovo o la gallina?”, ma in realtà, secondo la maggior parte degli psicologi, psicoterapeuti, pedagogisti e professionisti tutti del settore, una risposta c’è: il carattere si forma tra il primo e il terzo anno di vita ed è fortemente influenzato e determinato dall’interazione tra il bambino e l’ambiente, tra il bambino e chi si prende cura di lui.

Sembrerebbe, dunque, la famiglia la prima, importante, responsabile dello sviluppo psico-fisico del bambino. Ovvio, secondo alcuni, un po’ meno secondo altri. Tra coloro che attribuiscono in larga parte alle famiglie la responsabilità di questo deficit educativo c’è una specialista francese, Caroline Goldman, docente universitaria di psicopatologia clinica, la cui notorietà è andata alle stelle grazie a un suo seguitissimo podcast e al suo ultimo saggio dal titolo molto evocativo, File dans ta chambre, vai in camera tua. Il permissivismo? E’ la causa di tutte le fragilità e maleducazioni varie dei ragazzi. La soluzione: più rigore e severità da parte dei genitori. Che non dovrebbero temere – sostiene la dottoressa Goldman – di praticare un metodo a suo avviso molto efficace, quello che lei chiama il “time out”.

Contraria a ogni forma di violenza fisica, mai sculacciate né schiaffi, perché si rischia di insegnare ai bambini un linguaggio che potrebbero interiorizzare e riprodurre da grandi, il “time out” consiste nell’escludere temporaneamente il bambino capriccioso dallo spazio comune, mandandolo via in camera sua per un certo tempo. La tecnica è efficace perché è non violenta e comunica al bambino irrequieto che le sue pulsioni, le sue emozioni non devono essere represse, anzi, può continuare a viverle, ma non nello spazio comune, perché lì non è consentito. Isolamento, dunque, come luogo privilegiato per depotenziare la carica di aggressività che il bambino sta attraversando. Ogni bambino  – conclude la psicoterapeuta francese – ha tre bisogni fondamentali: di amore, di spiegazioni e di limiti. Ora, negli ultimi decenni quest’ultimo bisogno, fondamentale per la sua educazione, è stato trascurato e ha creato un “mostro”, il bambino-tiranno al quale non si può dire di no e che ha il diritto di fare tutto e comportarsi come vuole.

Facile a dirsi il time out, ma in un contesto sociale in cui l’istituzione familiare è in caduta libera, con genitori immaturi, assenti, a volte violenti, è la scuola che come al solito si ritrova a interpretare anche il ruolo di famiglia surrogata, con innumerevoli casi di ragazzi praticamente privi dei concetti di buona educazione, buone maniere, limiti. E allora tutto si gioca sulla capacità del docente di gestire le relazioni umane: nella fascia d’età più sensibile – diciamo più o meno dai dodici ai sedici anni – se a scuola il professore non instaura un rapporto personale con i suoi alunni basato sulla stima e la fiducia, non potrà mai lavorare sulla disciplina. Prima il rispetto, poi l‘italiano; prima la benevolenza, poi la matematica. Perché a quell’età è molto facile che il ragazzo assimili la persona alla disciplina: antipatica l’una, antipatica l’altra.

Di professori in grado di affrontare questo compito la scuola ne ha a sufficienza. Il vero problema è che i genitori, non contenti di non essere stati in grado di educare i figli quando era tempo di farlo, continuano a diseducarli alleandosi con loro sempre e comunque, povere “vittime” della scuola, dei professori, dei presidi. E allora, in questi casi, è forte il rischio che molti educatori sventolino  bandiera bianca…